Recensione di Giovanni Agnoloni
Marino Magliani, Il cannocchiale del tenente Dumont, L’Orma Editore, 2021
Una storia di sbando e diserzione “camuffata” da romanzo storico, ma in realtà intrisa soprattutto del genius loci dell’entroterra ligure. Questa l’essenza de Il cannocchiale del tenente Dumont di Marino Magliani. Un gruppo di soldati napoleonici reduci dalla campagna d’Egitto, nell’estate del 1800, diserta durante la battaglia di Marengo, si sbanda e vaga tra il Piemonte e la Liguria di Ponente, procedendo per le valli e tra i rovi del suo interno e sottoponendosi all’esperimento di un medico olandese, intento a studiare le loro reazioni all’uso dell’hascisc, iniziato nel Nord Africa e considerato da alcuni causa di tante diserzioni.
Così, mentre il dottor Zomer osserva l’orizzonte col suo cannocchiale, vanno avanti nel loro itinerario sconnesso e – in parte – allucinato dentro l’anima del territorio che è la vera casa dell’Autore, in un mood tra il picaresco, il pre-risorgimentale e il (blandamente) brancaleonesco, ma con accenti di commozione e drammaticità che dicono tanto dell’amore che lega Magliani alla sua regione.
In fondo, dietro quell’olandese che scruta il paesaggio col cannocchiale, si nasconde lui, che da tanti anni vive nei Paesi Bassi e, da lì, rievoca letterariamente la Liguria. Il suo, senza dubbio, è un tentativo di mettere a fuoco l’evidenza sterposa e puntuta delle valli del Ponente, modulata con un linguaggio pittorico di matrice biamontiana, ma anche figlio di una sensibilità neorealistica à la Pavese e dell’acutezza lirica del corregionale Eugenio Montale.
La narrazione è cosparsa di lettere del Dr. Zomer, ma questo aspetto “documentale”, pur aggiungendo una componente simil-storiografica al testo, non altera la sua fondamentale anima di affresco dell’umana disperazione nel momento dello sbando e dello sradicamento.
Un ritorno alle origini, dunque? No. Piuttosto, l’eternarsi di quella “Liguria perenne” che è la cifra di tanta parte della produzione di questo raffinato autore, che nella vita ha conosciuto molte terre e molti mari, ma senza mai abbandonare questa nota di fondo – quasi il tema di una sorta di fado implicito – radicata nelle terrazze e nella spinosa vegetazione interna del suo angolo di Mediterraneo.