Non so se si può riportare qui un articolo di giornale. Semmai avvertitemi, che lo ritiro.
Il pezzo è tratto da “Il Sole 24 ore” del 27 maggio 2007, inserto culturale “Domenica”, p.31.
Togliamo la poesia dal ghetto
Di Alfonso Berardinelli
Le antologie che cercano di raccogliere, selezionare e documentare la poesia contemporanea sono sempre più voluminose (quelle pubblicate l’anno scorso dall’editore Sassella a cura di Andrea Cortellessa , Paolo Zublena e altri arrivava a 1177 pagine per 64 poeti). Si moltiplicano i commenti, le introduzioni, le analisi. Ma chi conosce a memoria un paio di testi scritti dalle ultime generazioni di poeti? Si direbbe che quanto meno intensamente si legge poesia tanto più i critici e gli insegnanti si accaniscono a spiegarcela. Così a scuola la poesia comincia subito col sembrare materia per produrre interpretazioni.
Invece che interpretare allo scopo di leggere, si legge allo scopo di interpretare. Anche i più voraci e allenati lettori di narrativa contemporanea, di fronte ad un testo in versi si mettono in allarme. Hanno l’impressione di non capire. Temono di non superare l’esame. In un libro uscito un anno fa da Einaudi, Che noia la poesia,Enzensberger e io parlavamo di “lettori stressati”. Non c’è da meravigliarsi. Ormai sono ben pochi i docenti universitari che si impegnano volentieri in un corso sulla poesia contemporanea. Pochissimi gli studenti che scelgono di laurearsi su un poeta. Chi potrebbe credere oggi che fino a vent’anni, fa “testo poetico” era sinonimo di testo letterario e che tutta la teoria della letteratura, da Jakobson in poi, ruotava intorno alla nozione di “funzione poetica del linguaggio”? Ora i teorici, quando ci sono si occupano di romanzi. La poesia sembra diventata la specialità dei “perdenti” e i critici che se ne occupano dimostrano un’inspiegabile vocazione al martirio. Chi li inviterà mai ad un convegno? quale giornale recensirà i loro libri? E’ chiaro che in una tale situazione il pubblico che non vuole stressarsi ma rilassarsi può anche assistere a qualche lettura pubblica di poeti, ma poi non compra i loro libri quindi non li legge. Paradossalmente a questo genere letterario ancora considerato, in linea di principio, un genere essenziale e nobile, viene di fatto riservato un consumo veloce e un ascolto distratto.I manuali su “come leggere una poesia” di solito partono da un presupposto pericoloso, perché danno per scontato che l’atto di leggerla sia di per sé un problema. Il problema, cioè, viene creato da chi si offre di risolverlo. Non si da spazio sufficiente ad una lettura gratuita di puro piacere, la sola da cui può nascere quella familiarità verbale necessaria a creare lettori. E’ vero che la poesia moderna, da metà Ottocento a metà novecento,ha voluto essere il contrario della familiarità e della normalità comunicativa: niente poesia senza shock, straniamento, deviazione dalla norma linguistica, spaesamento, provocazione e aggressione al lettore . Ma proprio per questo il lettore dovrebbe fare un’esperienza di tutto ciò, prima di esorcizzare oscurità e difficoltà traducendole in interpretazioni corrette. Naturalmente le poesia scritta secoli fa richiede un po’ di studio anche solo per essere letta, la sua semantica è storica. Ma questo è vero più per poeti come Dante e Baudelaire che per poeti come Catullo, Heine o Withman, leggibili con un minimo di note. La poesia contemporanea dovrebbe essere anzitutto letta. La prima forma di studio somiglia all’attrazione erotica. Se non c’è, la poesia non attira, non si vende non ci saranno mai lettori competenti, dato che la competenza deriva dall’uso. Nella musica, nel cinema, nel calcio, nella cucina, nell’abbigliamento, perfino nella narrativa un pubblico competente esiste ha maturato le sue esigenze e riesce a giudicare. In poesia questo non avviene. Gli editori quindi navigano spesso al buio. Il fenomeno in parte nuovo negli ultimi decenni è che i migliori libri di poesia non sono affatto monopolio degli editori maggiori: il peggio e il meglio si trovano dovunque. Alcuni dei poeti più notevoli di oggi, come Bianca Tarozzi, Anna Maria Carpi, Riccardo Held, Marina Mariani, Carlo Bordini, Giorgio Manacorda, Alba Donati, Paolo Febbraio sono stati pubblicati in collane effimere o da case editrici medie o piccole: ragione per cui i più conformisti curatori di antologie sono tentati di non prenderli in considerazione. Mancano una serie di filtri critici e valutativi. Le recensioni scarseggiano e sono spesso cerimoniali. Così l’editoria in mancanza di lettori competenti e di critici schietti è sconcertata. chi si accorge che un libro di poesia è brutto o inesistente sono si e no cento persone. Di queste cento, quelle che lo dicono sono una ventina. Quelle che lo scrivono sono meno di cinque. L’esistenza di collane specializzate non migliora le cose: devono per forza pubblicare un certo numero di poeti anche se la materia scarseggia. Si creano delle caselle vuote che poi bisogna occupare comunque. Sarebbe meglio, credo, non specializzare ma mescolare i generi, facendo collane miste . In questo caso il criterio diventerebbe esclusivamente uno: scegliere libri interessanti e di qualità. La poesia dovrebbe reggere il confronto con la prosa e con il teatro. E questo sarebbe utile per far uscire la poesia dai suoi gerghi e ghetti, restituendo ai poeti la passione di essere letti.
Avevo letto quest’articolo domenica. Non sempre Brernardinelli convince, ma questa volta non posso dargli torto: le argomentazioni sono stringenti ed interessanti i suggerimenti finali. E’ infatti davvero necessario riscoprire la gratuità della lettura, posponendo ad essa la fase dell’interpretazione; ed è convincente, sperimentata, l’attrazione ‘erotica’ per il testo poetico; inoltre sono utili, al di la dei nomi dei poeti citati – che possono essere integrati o sostituiti in parte, le siegazioni e i consigli editoriali che chiudono l’articolo.
Antonio
L’articolo è la comunicazione letta a Torino da Berardinelli, in un incontro sulla poesia, condotto con Carpi, Cortellessa e Galaverni. Cortellessa destò modico stupore fra i 9-10 presenti, asserendo che i 3 grandi poeti del Novecento sono A. Rosselli, Mandelstam e Celan. Carpi, con l’abituale bonomìa, fece osservare che forse Celan è un po’ sopravvalutato. Galaverni ridacchiava. Le tesi di Berardinelli sull’attrazione erotica verso il testo è roba che, in tempi recenti, risale a Starobinski rendono meglio pronunciate dalla sua viva voce. I nomi di poeti italiani contemporanei che fa ricordano la famosa scena dell’esame di maturità in Ecce bombo, comunque (confido in un sàpido commento a questo commento da Iloveplacido, alla quale peraltro: congratulazioni! A quando il secondo?)
Dunque: citando più fedelmente la fonte Starobinski, revisionando o evitando i nomi dei poeti, togliendo o aggiungendo uno spettatore o una risatina, gli assunti dell’articolo sono condivisi (o sbaglio?). Con simpatia
Antonio
Ci mancherebbe pure che si mettesse in discussione Berardinelli, e da queste tribune poi. Quindi sì, anche se al pezzo pubblicato manca il dibbàttito, in cui si parlò di poesia da mandare a memoria, con l’ausilio dell’ottimo Umberto Piersanti, poeta troppo fuori dai giri per esser ricordato in pezzùlli da 24ore o altro del genere.
Ho conosciuto anche di persona Umberto Piersanti. E’ vero, tra le voci migliori sicuramente (e poco citato perchè ‘fuori dai giri’ perchè poco incline a diplomazie e compromessi). Ma sto un po’ divagando. Il tema proposto da Fabrizio è impegnativo, quasi un blitz: “Liberare la poesia”. Proviamoci, ciascuno umilmente per la sua piccola parte.
Antonio
Il pezzo di Berardinelli è più che condivisibile: è vero quel che scrive, nulla da eccepire (sebbene i nomi dei poeti che fa… per alcuni non mi trova d’accordo, ma il riconoscere la ‘genialità’ altrui è pur fattore soggettivo, come del resto la propria :-)).
Riguardo Piersanti… beh, che sia fuori dai giri come lo si vuol far credere qui sopra (o lui vuol far credere) non è affatto vero (visto le sue relazioni continue relazioni con Crovi & C. e il come è giunto a pubblicare con Einaudi)… che ‘giochi’ le sue carte alla bisogna (più o meno figure o sette di briscola, visto che di carichi in mano non ne ha), è altrettanto vero, visto che i suoi libri appaiono sempre quali dispense da acquistare, se vuoi frequentare il suo corso all’Università di Urbino e affrontare i suoi esami… quindi non stiamo a santificare alcuno perché sappiamo bene già di tutti. Che poi col suo parlare sempre della ‘f…’, delle ‘t….’ e del ‘c…’ di quelle donne che lui sostiene (pateticamente) di ‘fott….’ a volte possa essere anche folcloristicamente spassoso, questo è un altro paio di mani… resta il fatto che a lungo andare, per chi lo ha frequentato quel tanto, diventa persona molto ma molto noiosa e ripetitiva, nonché triste.
… dimenticavo: triste come la maggior parte dei poeti italiani.
(mi si perdonino i due relazioni… ma ci può anche stare… considerato che questo è un mondo che si basa unicamente sulle relazioni e non sui meriti).
Gian Ruggero mi ha tolto le parole di bocca nel suo ultimo commento(#6-7). L’articolo di Berardinelli questa domenica me lo ero perso; mi trovo sostanzialmente d’accordo. In generale chi pubblica in Einaudi (Mondadori) non è certo fuori dai giochi…
Un caro saluto
alcuni (solo alcuni, gli altri sono davvero notevoli) nomi che fa Berardinelli sono legati essenzialmente a quest’idea che invalse nel decennio passato, della “narratività” della poesia – una poesia che teme il sublime –
nel complesso l’intervento ha fondamento, però quante pretese dalla scuola –
purtroppo, per costituzione, a differenza della canzone d’autore o di tanta narrativa, la poesia non è “democratica” (l’uomo può esserlo, Mallarmè scripsit) – sua inevitabile natura extralegem con un fondamento anarchico-anacoretico-aristocratico –
non intende “comunicare”, intende, piuttosto, “mettere in comunione” …
Quanto astio inutile, Manzoni. I luoghi persi, uscito 13 anni fa in bianca Einaudi, è un libro importante, poco segnalato – e maluccio – nelle molte, troppe antologie di poesia recenti. Piersanti non è T. S. Eliot, ma nemmeno tu e manco nessun altro poeta, italiano e no, che pubblichi oggigiorno.
circa il mandare a memoria poesie di contemporanei, mi permetto di linkare a un piccolissimo post di qualche tempo fa su un altro blog, dove proponevo il
Test di Nezami…
(piccolo OT per Choukhadarian: se vuole farsi due risate o magari versare due lacrime dia un’occhiata alla sorte che ha avuto un umile post su
Daniel Varoujan che lei per primo mi nominò (grazie!))
saluti,
lorenzo
oops è partito il primo link, eccolo qua: http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article854
ciao
lorenzo
Chetomi, quando la vis si fa polemica
ma non nego tre volte di conoscerlo
seppur per caso a un premio
a Maddalena quindi a un dibattito
a Castellazzo Bormida.
Oh se sapessi d’ognun le pecche umane
avrei ogni giorno
proprio un bel daffare
ad aggiornare gli dei dello scaffale.
Con doverosa leggerezza
Antonio
Nessun astio, Choukhadarian, solo la verità, nulla più. Che Piersanti non sia Eliot, beh, non c’è bisogno che sia tu a dirlo. Quel libro di 13 anni fa è, appunto, di 13 anni fa, ed è uno… non tre… anche se la ‘natura’ debordante delle Cesane era a tal punto (lì) persa che a volte ci si perdeva, in quel pascolismo rivisitato ad arte. Che io non sia Eliot, beh, è vero anche questo, mi chiamo Manzoni… come tu ti chiami Choukhadarian, e non Berardinelli, appunto, uno dei pochi, in Italia, che dice le cose come stanno e spesso a segno (seppure, come ho scritto sopra, anche lui scivoli nel soggettivo… del resto anche tu, e molto, quando fai nomi di giovin poeti o poetesse… ma fa parte del gioco del dirle, troppo e spesso, anche del mio, ovviamente… e chi è immune?).
Per Antonio… un buon repulisti, sullo scaffale, sarebbe consigliabile da farsi… in particolare se si parla di dèi e non di vecchie, seppur bonarie, scafarde che ancora tentano di saltellare come satiri tra i boschetti del Montefeltro, incespicando qua e là nelle radici o, meglio, nei propri passi. Ed è appunto sull’umano che verte, oggi, il discorso, così, tanto per essere credibili anche nell’artistico e nel critico, visto che in ambo i campi ci si deve accontentare di quel che passa la ‘confraternita’.
A tutti il mio 🙂 e il mio saluto.
Manzoni, ci sono sordi peggiori di quèi che fingono di non intendere, ma non tanti. L’astio del commento nr. 6 sta nelle fighe e nei culi delle donne di cui Piersanti parlerebbe. Se fosse vero che di quello parla, resta l’opera sua, più vasta e complessa di quanto pubblicato nel librino in bianca Einaudi. Se vero non è, perché malignare invano? E in ogni caso, che c’entra parlar di fighe con l’esser dentro o fuori i giochi? E soprattutto: ma di che giochi si parla? L’editoria è, in un’economia depressa come quella italiana, uno fra i comparti con i margini di redditività più bassi. Girano pochi soldi, se giochi esistono non valgono un giro di belòta al Bar dello Sport, giù in piazza.
Premesso che condivido quanto scritto da Berardinelli pur non commentando la sua scelta di autori, colgo l’occasione della pubblicazione di questo articolo per fare due riflessioni.
La prima nasce dal fatto che le considerazioni inserite nell’articolo sono le stesse che da “topo” di libreria e acquirente avevo fatto poco tempo fa. Questa amara constatazione della realtà nasce dalla mania ormai quasi fobica, da psichiatria, dell’uomo moderno di razionalizzare, interpretare per dare un fondamento logico, analizzare tutto. Usare solo il cervello senza dare spazio ai sentimenti, al cuore, per paura di doverli affrontare o mostrare al mondo di averne e quindi di essere vulnerabili, alimentando sempre più l’indifferenza e l’incapacità di viverli. Di questo passo troveremo qualcuno che darà il colore al vento e il sesso agli Angeli.
La poesia, come la preghiera, è un respiro dell’anima. Nasce dal dolore o dalla gioia, comunque da un’emozione, e questa mania, di fatto, non fa che soffocarla dando ragione a parte della scienza e della medicina di qualche secolo fa che, dopo aver sezionato centinaia di cadaveri e non avendo, per essa, trovato un posto specifico, asserì che l’anima non esiste.
La seconda riflessione nasce invece dal fatto che seguo su vari blog poeti e scrittori ed è un po’ una critica generalizzata a tutti gli artisti, ai critici, soprattutto, e a tutti i poeti in quanto commentatori di poesie altrui, pertanto mi scuso in anticipo con chi si sentirà offeso.
Mi addolora e spesso mi fa imbufalire il fatto che leggendo i commenti incrociati, salvo qualche caso, molti di voi non ci mettano l’anima, anzi, a volte, commentano qualcosa che danno l’impressione di non aver letto e scrivono poche righe solo per far vedere che ci sono. A volte stroncano un qualcosa di cui hanno letto, forse, il titolo.
In realtà non mi dovrei sorprendere essendo anche voi parte di quel genere umano di cui parla Berardinelli e cioè i lettori.
Ho visto stroncare poesie e prosa, ferirvi fra voi, anche se nessuno apertamente lo ha mai dichiarato ma si è ritirato in un angolo della propria casa a leccarsi le ferite e ha poi contrattaccato come se non avesse, a sua volta, letto.
Lungi da me l’idea di stroncare la critica ma questa deve essere costruttiva, indurre a riflettere ed eventualmente migliorare e non sterile e fine a se stessa, figlia magari di piccole invidie e gelosie. Oggi rimpiango la mia professoressa di italiano, che ho tanto odiato ai tempi della scuola ma che aveva come unico obiettivo farci migliorare, e devo dire che c’è pienamente riuscita.
Vorrei ricordare e da qui si può dedurre la poca stima per i critici che come gli analisti nel mondo della finanza, che conosco per lavoro e con cui mi scontro tutti i giorni, parlano spesso troppo e senza dire nulla ma ripeto sono necessari se aiutano a migliorare. Vorrei aggiungere che i critici spesso hanno fatto la fortuna di persone mediocri e hanno affossato e in alcuni casi spinto al suicidio dei veri geni. Geni che qualcuno ha poi rivalutato o che i lettori hanno osannato. Critici che fanno il bello e il brutto tempo spaventando per primi i lettori. Vogliamo sovvertire questo ordine costituito prima che la più nobile delle arti muoia?
Se voi che siete esseri molto sensibili e senza timore di mostrare i sentimenti, quando diventate lettori leggete senza leggere e pensate prima ad interpretare e poi a leggere e non il contrario come si può pensare che il povero lettore ignaro di metrica, stili e quant’altro non si spaventi e snobbi la poesia?
Non mi meraviglio se, quando un povero mortale vi comprende, rimaniate inebetiti e senza parole per l’emozione.
Potrà mai questa bellezza rovesciare il mondo? Certo che si, se l’uomo smettesse di cercare il posto dell’anima e, togliendosi gli occhiali da sole, vedesse che è ovunque e non si può limitarla in un angolo.
Certo che si, se leggendo una poesia, come Guido Cavalcanti rivolgendosi all’amata, esclamassimo “Voi, che per gli occhi mi passaste al core e destaste la mente mia che dormia, …”
Vi amo tutti miei cari poeti e scrittori perciò fatemi un favore personale continuate a scrivere anche se il mondo letterario e gli acquirenti dovessero continuare a “snobbarvi”.
Grazie ancora una volta per l’occasione concessami,
ti abbraccio Fabrizio
Stella
Da 250 anni circa, ovvero da quando è iniziata l’età borghese, i poeti si pensano come vittime. La vocazione vittimaria c’è ancora oggi, ed è la cosa più importante tra tutte quelle che riguardano poeti e poesia.
sticazzi caro. la cosa più importante della poesia e dei poeti è la poesia stessa.
onorala, allora!
sei su terreno sacro!
Per togliere la poesia dal ghetto bisogna, forse, ghettizzare chi la poesia la fa morire giorno dopo giorno. punto.
“i poeti si pensano come vittime”?!
Il poeta vede, sviscera, e ha bisogno di farlo, quanto scriverà, ma non si vede immolato, piuttosto scavando, esprimendosi, egli vede la poesia mezzo insostituibile per individuare realtà intime e non. Poeta è chi ci riesce. Forse questa è pretesa, non certo “vocazione vittimaria”.
Un saluto
A Gian Ruggero, che saluto amabilmente, volevo solo precisare che nella improvvisata poesiola usavo ‘dei’ in modo ironico e autoironico, esattamente per dire che non ci dovrebbero essere statuine ma soltanto diverse opinioni sulle qualità dei poeti: accontentiamoci, appunto, di ciò che passa il convento (magari senza infierire anche ove fosse possibile).
Antonio
Berardinelli ha fatto una scelta coerente, rinunciando all’insegnamento accademico. ma rimane l’interrogativo sulla comprensione della poesia contemporanea, soprattutto nelle sue forme sperimentali. e, dopo questo, subito l’altro: se la poesia è innovazione, rivoluzione linguistica, come attendersi una lettura pacificata, un armonioso plaisir du texte? a meno che non si identifichino eros e rivoluzione, che in parte può essere vero.
ringrazio e saluto tutti gli intervenuti.
fabrizio
“i poeti si pensano come vittime?”
Direi di si.
Mi pare invalsa una “cultura” elegiaca del dolore (emotivo) secondo la quale sia esso la sola cosa “nobile” della vita e sulla quale valga la pena di esercitarsi in traduzioni letterarie, dimenticando la banalità che fa male, il dolore, è solo inutile e solo dannoso, per quanto inevitabile. Eppure ce se ne compiace quasi fosse una virtù, lo si esibisce come stendardo di completezza umana (lo faccio pure io, e ci mancherebbe mai…)quasi disprezzando, anzi, proprio disprezzando, ogni manifestazione gioiosa come segno di manifesta inferiorità.
Cosa penosa e misera, per la quale mi faccio sovente pena, e solo mi conforta il pensiero di esserne stato preda soltanto in questa tarda ed ultima età.
Diceva qualche reazionario qualunquista che ci mancano le guerre, le belle lunghe e sante guerre con un bel nemico dinanzi da uccidere, guerre dove dimenticare e sublimare le nostre scomposte pulzioni erotiche, dove se si vince si violenta, e se si è uccisi sarà sempre in nome di una bandiera: e le bandiere sono sempre, tutte, il segno della gioia. Come le guerre.
..io non la vedo così.
lo strusciamento al dolore, l’inneggiarne, ma non è così!
I poeti dovrebbero anzitutto tirar fuori le palle. Quanti giovani e meno giovani autori (non solo in versi) hanno subito e continuano a subire estorsioni da editori medio-piccoli e non solo? Bisogna fare i nomi, è inutile continuare a piangere! Ché i pescecani dell’editoria se la ridono a crepapelle… Giovanni, parliamo del giro di affari delle centinaia di “case editrici” a pagamento, dei loro bilanci sempre in attivo! E poi dicono il rischio di impresa… ma dov’è ‘sto rischio di impresa? Sulla pelle degli autori senza nome o, per meglio dire, di quelli che non sono avvezzi a sfoderare due metri di lingua? Allora, incominciamo a fare un po’ di pulizia in questa fogna ché c’è un puzzo insopportabile, e poi parliamo di Eliot e dei massimi sistemi.
Un saluto.
Pasquale Giannino
Pasquale proprio così!Al commento #27 hai centrato il problema, il male di tanta editoria contemporanea. Se un giorno mai si uscirà da questo inghippo le cose forse saranno diverse. Se anche la poesia avesse mercato, nel senso di vendite…
Un caro saluto
Subisce estorsioni chi vuol essere estorto. Non esistono d.P.R. che obblighino nessuno a farsi pubblicare previo versamento guiderdone. Chi lo fa, lo fa in piena scienza e coscienza (e non è manco peccato grave, mancando il requisito necessario della gravità della materia)
Esiste la pubblicità ingannevole! E tanta omertà da far invidia al mafioso più incallito… Finiamola col dire che è sempre colpa del truffato!!!
Mi pare di sentire un certo critico d’arte che dava dei “mentecatti” ai truffati di Vanna Marchi…
caro Giovanni, cari tutti… le sfumature sono molte, credo (ho visto con i miei occhi). non tutti gli “estorti” sono dei superbi ignoranti provinciali che non valgono nulla e che pagano cara la propria ignoranza. e non tutti gli editori “a pagamento” sono ladri.
esistono vite molto particolari (ho visto con i miei occhi): immaginate una donna di mezza età, con la terza media, che fa la cameriera (in nero). ha letto “tous les livres” (letteralmente), ma nessuno la prende in considerazione, nel Gotha: troppo vecchia, troppo poco educata (le mancano le “buone maniere”!), coltissima ma con un modo di fare che la fa sembrare ignorante. scrive il suo libro, e non conosce nessuno: per esempio, Giovanni, ti ricordi quando ci trovammo alla festa per Conte? ci fu un pranzo. io forse mi sarei potuto infilare, ma scappai, e ritornai al pomeriggio. quanti destini sono decisi da un carattere ‘arrischiato’ – ma non è il rischio di Rilke-Heidegger! – e dal prendere il caffé giusto con la persona giusta al momento giusto? non c’è da nascondersi dietro un dito. un paio di volte al mese mi viene rimproverato che non ho fatto carriera “perché non ti fai vedere”. che non significa nulla di pratico, se non questo: “non sei del gruppo, e chi è fuori è fuori; e non ti lamentare! nessuno è indispensabile!” (una delle frasi più squallide e ipocrite che esistano: le menti non sono negoziabili e sostituibili).
la signora di mezza età paga e pubblica. e il frate asino, io, la presento in grande stile e dico: questa donna fa parte di una cerchia di persone che io e i miei colleghi non prenderemmo neppure in considerazione – ma io la prendo in considerazione.
non solo i provinciali ignoranti, quindi, ma anche persone che non hanno voluto o potuto inserirsi in una socialità che può aiutare (visto che si entra “per cooptazione”, come dice Giulio Mozzi ogni volta che può). e non solo le signore colte e selvagge, ma anche giovanissimi autori/autrici che anche tu, Giovanni, esalti, anche in questo sito.
attenzione, quindi: ci sono persone meritevolissime, che hanno 3 possibilità: o si autoproducono in copisteria o pagano o spariscono. nel migliore dei mondi (editoriali) possibili, i bravi – anche sconosciuti e con un brutto carattere e asociali (e li capisco bene, se sono asociali!) – dovrebbero avere GRANDI OPPORTUNITA’ (visto che “conta solo il testo”, come usano dire gli intellettuali, riempiendosi la bocca di qualcosa a cui di solito non credono; ed ero allibito, al convegno su Conte, dall’ammirazione di grandi intellettuali per testi così poco attraenti).
allora: o sparisci o prendi il caffé giusto (e speri nella cooptazione del Grande di turno) o paghi. meglio pagare, in certi casi… scusate questo delirio lungo, buona giornata!
massimo
vicolo cieco, solo un vicolo cieco: il caffé giusto al momento giusto, ma non basta: occorre essere senza faccia e correre, correre sempre dietro e mai oltre qualcosa o qualcuno. il testo da sé non conta quasi nulla, purproppo! la palude Italia non vuole menti oneste né idealisti pronti a morire per la poesia, purproppo. il suicidio forse, ma nemmeno, se non hai amici pronti alla ricordanza. l’eccesso dell’ecceso porta all’azzeramento dei meno salottieri, dei meno ruffiani, ecc. l’oblio, dopo tanto darsi sia l’auspicio…
sull’autoproduzione m/merisi aka Alessandro Zannoni potrebbe dire qualcosa di interessante.
il problema è la superfetazione di opere che ingombra la scena: non quella delle librerie, dove se trovi un libro di poesia di un vivente gridi al miracolo, ma quella sommersa delle innumerevoli modalità di autopromozione. ci vorrebbe il Cavedagna calviniano di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” per sbrogliare la matassa. del resto, mi pare che perfino Cucchi sia stato estromesso dal nuovo “Specchio” mensile, trasformatosi in celebrazione patinata del “tutto si rinnova” contemporaneo. ha ragione Berardinelli: per la poesia non c’è posto. resta la rete.
fabrizio
Massimo, hai una visione delle cose che altri direbbe poetica, a me pare solo un po’ lontana dalla realtà – almeno dalla mia, senz’altro più povera e vivace della tua. Da cronista di giudiziaria e politica, le signore che han letto tutti i libri con la III media non ricordo d’averle incontrate. Qualche avvocato con pretese poetiche sì, e quelli si pagano le raccoltine e non fanno storie (a volte pretendon che gli si presenti i libri al Lions o Rotary di turno, e son puttanerìe cui senza troppi rimorsi ci si sottopone)
caro Giovanni, ti rispondo in fretta. i miei esempi sono molto concreti, e mi riferisco sempre a ciò che vedo. immagina: un pittore tardoinformale, nato a Sampierdarena e sposato con una donna ricchissima (casa a Quarto, piscine, campi da tennis appartamenti in centro, studio in un’altra regione) ha una cameriera. il pittore e la moglie danno del lei alla cameriera, secondo la buona educazione. la cameriera prepara il pranzo per i coniugi e lo serve. i coniugi sono ricchissimi, molto di sinistra, non giovani, e hanno da 30 anni a servizio la cameriera. ma la cameriera non siede alla tavola dei padroni, che ostentano la loro semplicità e sembrano informali: i rapporti sono molto freddi, anche se la padrona di casa ha solo 5 anni più della cameriera, e si conoscono da 30. quella signora, e il marito pittore tardoinformale, invitano a casa Beringheli, come invitavano Perilli, Fiannacca e altri artisti. non sanno che la cameriera ha letto molto, e forse più di loro. non possono e non vogliono saperlo. sanno che la cameriera scrive, e per loro quello scrivere è poco più di un passatempo da donnetta. l’atteggiamento della signora è gelido, come se volesse intendere: come ti permetti? – E potrei dirti che in via Garibaldi, in un bar centrale, c’è un cameriere che citava le versioni del Giuramento di Srasburgo: un uomo che non ha fatto fortuna, e che ora lavora dignitosamente lì. scusa queste notizie da cronaca locale – è quello che vedo. tante volte i poeti non se ne accorgono. il “popolo” è quasi sempre un’astrazione politica o un mucchio di spazzatura, che ti serve la colazione il pranzo l’aperitivo, ma che non si permetta un passo di più. Solo che poi accade qualcos’ALTRO…
mi dispiace di non commentare un articolo importante come quello di Berardinelli. secondo me, il problema è che nessuna ha mai pensato CONCRETAMENTE a quale possa essere il “pubblico della poesia” – che è stata un’espressione troppo astratta, un po’ come “popolo” (vedi sopra). nelle scuole, ho visto FAME di poesia, non fame di fama poetica. la poesia passerà, bucherà gli schermi, prenderà il volo, ecc. – se sarà nei posti giusti, e se dimostreremo che per noi la poesia è una cosa seria, ma anche una cosa che fa sorridere e rende migliori… è chiaro che se uno vede un poeta illustre fare le cose che Gian Ruggero ha sentito dire ad un illustre (e confermo, ho sentito anch’io) – prima sorride perché quei discorsi fanno sempre sorridere un po’, poi si stufa, e della poesia pensa: è una cosa da nulla, anche i poeti pensano solo alla […]
colgo in ritardo l’invito di fabrizio e parlo della mia esperienza.
la mia autoproduzione è una scelta libera e forzata, e l’ho già spiegata nella mia scheda di presentazione del blog: in attesa di essere preso in considerazione dalle grandi case editrici, mi pubblico da solo perchè non ho voglia di aspettare le lentissime risposte delle case editrici, perchè non ho voglia di avere romanzi nel cassetto che fanno la muffa, perchè se non riesco a far vedere la luce al mio scritto non riesco a fare altro e mi blocco, perchè riesco a vendere 1000 copie a romanzo e guadagno anche qualcosa sui soldi che ho investito( per questo ho rifiutato contratti con piccole case editrici).
però, adesso,autoprodursi ha un senso, almeno per chi scrive romanzi, perchè esiste autocircuito (www.autocircuito.it) che distribuisce solo libri autoprodotti in più di 70 librerie italiane: il contratto è vantaggioso anche per l’autore, e sono certo che diventerà un punto di riferimento per molti. (il 7 8 9 giugno ci sarà a milano, alla libreria archivi del 900, la prima mostra mercato del libro autoprodotto).
voglio prendere le difese di quelle case editrici che stampano libri a pagamento, perchè sono tante quelle che praticano prezzi onesti, e sono tante quelle che con quei soldi ci mandano avanti una collana di autori sconosciuti scoperti con sudore e fatica, che con quei soldi ci pagano la stampa, la poca pubblicità, ci pagano (poco) il lavoro oscuro e prezioso di persone che fanno da segretarie/editor/impaginatrici/donnedellepulizie/ufficiostampa.
se non esistesse la stampa a pagamento morirebbero una marea di case editrici.
non dico che tutte meritino, ma vi assicuro che tante sono oneste nel loro intento di fare letteratura.
vanificato il tutto da una inesistente distribuzione.
è la distribuzione il problema reale. anche per la poesia: se ci fossero scaffali zeppi di proposte, pensate che non ci sarebbe un’impennata nelle vendite e un riavvicinamento dei lettori?
saluto tutti indistintamente, poeti e non.
“nelle scuole, ho visto FAME di poesia, non fame di fama poetica”.
questo di Massimo mi sembra un approccio decisamente corretto al problema. l’atteggiamento disinteressato e dettato dalla pura passione è certamente quello che arriva più lontano e ottiene almeno un risultato sicuro: non impantanarsi nelle deprimenti liti tra poeti frustrati.
grazie anche ad Alessandro per la sua preziosa esperienza.
un saluto a tutti
fabrizio
Ma ‘sti cacchio di nomi non li fa nessuno?
“L’autrice romana Miriam Bendìa, dopo anni di peregrinazioni e mezze truffe, ha raccontato la sua storia all’editore Marcello Baraghini di Stampa Alternativa, che gliel’ha pubblicata. Il pamphlet, intitolato Editori a perdere, scritto insieme ad Antonio Barocci, ha aperto nel 2001 uno squarcio su una realtà di autori Pinocchio palleggiati fra le grinfie di Gatti e Volpi. Ambigua l’esperienza vissuta da Bendìa con l’agenzia letteraria romana Il Segnalibro di Bruno Fontana. Versato in anticipo un compenso, l’aspirante (e ingenua) autrice non ha mai ottenuto alcun contratto di edizione ma solo, un anno dopo, la proposta di pubblicare a pagamento con case editrici di ambiente romano e di incerta distribuzione. Una sentenza del giudice di pace ha in seguito obbligato Fontana al risarcimento per non aver adempiuto quanto promesso. […] “Ho risposto a un annuncio pubblicitario apparso su Repubblica e Il Messaggero” racconta Valentina Inserra, anche lei di Roma, 25 anni, laureanda in Lettere. “La casa editrice Libroitaliano, di Ragusa, cercava autori esordienti di poesia. Richiedevano una raccolta di almeno 30 poesie. Io ne ho mandate 33. Prima avevo chiamato e chiesto se si trattasse di libri a pagamento. Una gentile voce femminile mi aveva risposto di non preoccuparmi. Un mese più tardi mi è arrivata a casa la proposta. Il contratto prevedeva che io dovessi versare 1.500 euro e in più acquistare duecento copie del mio libro al prezzo di copertina. La proposta era valida dieci giorni: prendere o lasciare. Io ho lasciato. Due mesi dopo mi è arrivata un’altra proposta, per la metà del prezzo. Oppure potevo acquistare, per 100 euro, una pagina in un’antologia”. […] Una tra le più fantomatiche sigle editoriali, che vanta però un’inesauribile propaganda via Internet ed e-mail, è la Aletti Editore, il cui motto è: “Voi pensate a scrivere… noi a pubblicare” e che pubblica una Enciclopedia dei Poeti Italiani Emergenti. Ovviamente, tutti a proprie spese. E naturalmente si paga anche per essere pubblicati nella collana Gli Emersi. Ma sorte migliore non tocca alla prosa. Sostiene Lino Pasini, residente a Sydney, in Australia: “Ho pagato ben novemila euro per la stesura di 2.000 copie della mia biografia Una vita intensa, 363 formato 15×21”. Il volume risulta in effetti nel Catalogo dei libri in Commercio, ed è acquistabile anche attraverso la libreria virtuale http://www.internetbookshop.it. Pasini, tuttavia, si lamenta: “A farmi procedere con la stampa della mia autobiografia fu determinante il lusinghiero giudizio […] espresso in tre pagine inviatemi a Sidney il 15 gennaio 2001 dal redattore Fulvio Alghieri (sic, forse Fulvio Aglieri, ndr) titolare della Editrice Nuovi Autori, via Gaudenzio Ferrari 14, Milano. Egli ha corredato tale lettera di copiosa pubblicità del lavoro svolto per conto di personaggi arrivati al successo, elencando pure i nomi di ben 25 “padrini letterari”…” Ma alla fine, dell’opera di Pasini risultano vendute solo due copie. La questione è: il libro ha ricevuto adeguata distribuzione e promozione? […] Sostiene Serafino Massoni, insegnante e pubblicista, classe 1940, residente in provincia di Mantova: “Una piccola casa editrice mi ha chiesto denaro in nero. Oltre dieci milioni di vecchie lire, con un assegno intestato a me stesso che poi loro avrebbero girato e versato su un altro conto”. Massoni ha già pubblicato diversi libri con editori noti come Armando, Marietti e Tranchida, e nella collana Novecento di Rizzoli. Ma poi si è incagliato in una serie di rapporti poco soddisfacenti con editori a pagamento. Tra questi, la società Firenze Libri che, così sostiene lui, “fa apparire su quotidiani bandi di concorso per premi che vengono assegnati da una “finta” commissione esaminatrice. I partecipanti ricevono poi a casa una proposta di pubblicazione a pagamento”. Anche Massoni un bel giorno ha deciso di mettere nero su bianco la sua esperienza, in un pamphlet uscito nell’agosto 2003 per i tipi di un piccolo editore di Mantova, La Cronaca. S’intitola Editori & Scrittori. La tentazione di pubblicare, sia essa conseguenza di grafomania o di vera vocazione per la scrittura, è una debolezza che si può pagar cara. Lo dimostra la storia di Paolo Dune (pseudonimo) che è di Lecce, avvocato e segretario comunale di un piccolo centro della Puglia. Dune alla fine degli anni Novanta s’imbatte nell’agenzia letteraria Nuovo Tempo di Chiavari, il cui titolare è Mauro Salvi. Questi, racconta Dune, “stipulava solitamente contratti in cui si impegnava a promuovere l’opera degli autori che entravano in contatto con lui, in Italia e soprattutto all’estero, per il mercato americano. Chiedeva alcune somme a titolo di rimborso spese e finalizzate, a suo dire, a coprire i costi di marketing necessari alla promozione del libro”. Un lavoro che, stando alle testimonianze dell’avvocato-aspirante scrittore e di altre persone cadute nella rete di Salvi, non veniva per nulla svolto. “Salvi suggeriva spesso – continua l’avvocato – anche di far tradurre dai suoi uffici i dattiloscritti da pubblicare, allo scopo di ottenere un nuovo incarico dall’autore con cui era in contatto”. Peccato che le traduzioni o non venivano fatte o, svolte da personale non qualificato, erano inutilizzabili. Il tutto poteva costare da un minimo di 500mila a un massimo di 700mila delle vecchie lire per ogni operazione. Il nostro avvocato ha sborsato a Salvi un totale di oltre 6 milioni di lire. Finché, sostenuto da altri aspiranti scrittori vittime del raggiro, ha sporto denuncia presso la Procura della Repubblica di Chiavari. Attualmente, come risulta dagli atti, Mauro Salvi è sotto processo a Chiavari per l’ipotesi di truffa aggravata. Fine della storia? Non precisamente. Alcune voci da noi raccolte – dallo scorso aprile Mauro Salvi, come risulta dagli uffici dell’anagrafe del Comune di Chiavari, risulta irreperibile – concordano nel sostenere che la sua sedicente attività è passata nelle mani di Cristina Del Torchio, responsabile dell’agenzia letteraria Elebab. Elebab non ha sede a Chiavari, in Liguria, ma a Compiano, un paesino in provincia di Parma. Ma il sito Internet dell’agenzia non è più attivo, il telefono risulta staccato e alle nostre e-mail di richiesta di chiarimenti e di precisazioni Cristina Del Torchio non ha risposto. Abbiamo solo potuto appurare che, citata in un sito dedicato alla scrittura (www.grazia.net/letteratura) come proprietaria di un’agenzia letteraria dai metodi poco limpidi, la diretta responsabile nega tutto. Con veemenza. Peccato non si trovi traccia alcuna del suo lavoro, dei contatti che dovrebbe avere con le case editrici per proporre i suoi autori, dei libri che ha contribuito a pubblicare. L’agenzia letteraria Elebab, tra l’altro, non risulta iscritta alla Camera di commercio. E intanto persino una signora di Philadelphia (Stati Uniti), Antoinette Clair, sostiene di aver versato in anticipo 600 dollari alla signora Del Torchio perché le gestisse la traduzione italiana del romanzo The Blows of Fate. Senza alcun riscontro. Quanto a Paolo Dune, se non altro è riuscito a scovare, da solo, un editore disposto a pubblicare il suo romanzo, intitolato L’Attenuante 666. E’ una piccola casa editrice, Manni, che ha fatto il suo dovere: editing, pubblicazione e distribuzione. Sotto regolare contratto […]”
Estratto da “La grande illusione del romanzo fai da te” di Francesca Amè e Paolo Bianchi – Il Giornale 14 gennaio 2004.
Questo è il giudizio che ho ricevuto da una casa editrice medio-grande dopo un anno di attesa:
“Gentile dottor Giannino,
le scrivo per comunicarle l’esito della commissione di lettura in merito agli scritti da lei inviati ormai diverso tempo fa. In sostanza, nella loro linearità, sono stati valutati come dei buoni scritti. Le prose sono ben portate e ricche di pathos, e hanno quel sapore di antico calato in un contesto attuale che ben si associa alla nostalgia per i valori perduti che la sua scrittura vagamente malinconica trasmette. Purtroppo non abbiamo attualmente la possibilità di inserirli tra le nostre collane, ma ci riserviamo di tenerli in considerazione per eventuali sviluppi futuri. Non abbiamo invece una collana di poesia, anche se il progetto di aprirne una potrebbe rientrare presto tra i nostri obiettivi.
Con i miei migliori saluti, le invio l’augurio di buone cose future.”
Quando uno mi fa gli auguri tocco ferro… Tranne oggi che compio gli anni.
In bocca al lupo!
Pasquale
Sono lieto che alla fine della fiera emerga Manni come casa editrice seria. Credo che raccontare certi fatti aiuti chi esordisce o vive all’estero e quei molti poco informati che ‘ci cascano’.Ma chi è aduso frequentare la letterattura, le notizie sull’editoria, le buone librerie, conosce molto bene quali sono le case editrici serie e quelle da evitare: un conto infatti è pagare dei servizi e un numero minimo di copie ad un editore che filtra quanto gli arriva, pubblica solo un decimo dei manoscritti che riceve e promuove degnamente i suoi autori, altro e incappare nella ditta tritatutto, che utilizza specchietti per le allodole e non ha nessuna competenza (se non in materia di modalità d’incasso).
Antonio
tanti auguri (di compleanno) Pasquale!
m
@pasquale
i nomi li può fare solo chi ha subito danni.
se i truffati sono tanti, mi viene da pensare che effettivamente troppa gente scrive senza sapere neppure cosa come quando, senza aver mai letto, senza seguire e interessarsi almeno un poco di letteratura. fame di fama, ecco cosa li muove. puzza d’artista.
Anche tu, gemelli ..come me. Io, il 9, vorrei festeggiare alla grande. Chissà. Auguri!
Gli auguri di compleanno, chiaramente, sono per Pasquale.
AUGURONI PASQUALE!!!!!Quanti sono? Visto che non sei una donna – di cui di solito non si dice -… 😉
Un caro saluto
@ rina
in effetti mi stavo chiedendo perchè mi facessi gli auguri, visto che non ci conosciamo e che sono nato a febbraio.
vabbè, la forza sovrapponibile dei post.
Auguri anche a te, Mmerisi, perché no? Dovremmo -considerarci- tutti un po’ di più a prescindere dalle ricorrenze.
..ora ci conosciamo.
Un saluto
p.s. il tuo nome per esteso ..si può? mi imbarazza parlare ..con le sigle. ..anch’io, per la verità, mi trincero dietro un mezzo anonimato. Forse ognuno ha le sue ragioni..
rina, Mmerisi sta per michelangelo merisi che è lo pseudonimo con cui firmo i romanzi, in realtà sono solo alessandro. puoi scoprire qualcosa di più leggendo la mia presentazione nel sito.
ciao
Mmerisi non banalizzare! Della serie: io che non ci sono cascato sono un dritto, tutti gli altri sono dei coglioni. Certo, la vanity press rappresenta una fetta di business significativa per questi sedicenti editori i cui bilanci – e non mi stancherò mai di ripeterlo – sono sempre in attivo, che non hanno rischio d’impresa, al massimo rischiano di perdere la faccia ma evidentemente se ne fregano… Nondimeno una percentuale altrettanto significativa è costituita da aspiranti scrittori, spesso giovanissimi, del tutto ignari di tali perversi meccanismi e che – in assoluta buona fede – credono nel loro talento (o qualcuno fa sì che ci credano) e chiedono, giustamente, di essere lanciati. Forse tu scrivi per te stesso? Poi, se qualche figlio di puttana pensa di speculare sulla loro ingenuità (per meglio dire, inesperienza), sulla loro legittima ambizione al punto di costruire su questa le proprie fortune… ebbene, tu senti puzza d’artista? Io sento puzza d’imbroglio.
Grazie a Massimo, Rina e Luca per gli auguri. Rina: gemelli? Uhm… doppia personalità? Luca, qual età vuoi conoscere: quella anagrafica, quella biologica o quella psicologica? Per l’anagrafe sono del ’72.
Un caro saluto.
Pasquale
Anagrafica Pasquale… 😉 Ero curioso di sapere se eri più o meno della mia generazione, anche se intuivo dai commenti, da certi scambi…Grazie!
Un caro saluto
Ma sì, liberiamo anche l’età!
io compio 16 anni il 24 giugno!
;-)))
pasquale, sono rientrato adesso.
mangio e poi ti rispondo.
please wait.
pasquale,
la rabbia che metti nei tuoi post mi ha fatto venire in mente un tipo che su nazione indiana si scagliava contro le case editrici, sul fatto che nessuna lo avesse preso in considerazione come autore da pubblicare, che certe non avessero letto il suo manoscritto e altre invece avessero risposto in dieci giorni un secco due di picche. qualcuna gli aveva chiesto soldi che lui ha rifiutato, però ha trovato case editrici disposte a pubblicarlo a patto che facesse un editing feroce.
si firmava p.g.
dava l’impressione, questo p.g., di avere scritto il romanzo perfetto e che nessuno volesse accorgersene, che il mondo marcio dell’editoria lo volesse tenere fuori, a distanza, facendogli scontare una pena per averlo scritto, constringendolo a sborsare soldi per assurgere agli onori delle librerie e del popolo lettore.
ora, se tu non sei questo p.g., un pò ci rassomigli: si capisce che non hai trovato una casa editrice disposta a pubblicarti e non capisci il perchè, e la cosa che più ti rode è che per vedere il tuo libro in libreria dovrai spendere soldi come autoprodotto (ma mi pare ti reputi troppo prezioso per sminuirti a questo modo) o pagando una casa editrice, magari proprio una di quelle che stai giustamente attaccando.
pasquale, questo è il mondo reale.
non devi essere un dritto per capire se hai a che fare con dei farabutti.
se hai talento rompi i coglioni e spedisci, prima o poi qualcuno apprezzerà la tua roba, però non lamentarti e non crearti alibi, le sconfitte momentanee servono sempre a chi è in grado di imparare.
non scrivo per me stesso, scrivo per essere letto dagli altri, come vorrebbero tutti gli autori.
il veleno buttalo tutto su carta.
e allarga il naso, la puzza d’artista si sente dovunque.
si è creata una strana situazione: il cartaceo teme la rete e la rete invidia il cartaceo. mi ricorda il dilemma calviniano del lasciare la propria traccia sulla pietra o nella sabbia. pubblicare i propri testi, alla fine, può risolversi in una scelta del genere: la pietra è il cartaceo; la sabbia è la rete: la poesia come meteora che vaga nella distesa infinita dei bit, in attesa di un gesto che la raccolga in un palmo, leggendo in quei granelli l’effimera eternità di ciò che è stato creato, la sua vocazione a restare, anche scomparendo per sempre. la poesia che si affaccia oltre l’io dell’autore lascerà una traccia, sulla pietra o nella sabbia; sulla carta o nella rete. ovunque. anche se non fosse mai letta.
fabrizio
Un commento pressochè perfetto quest’ultimo di Fabrizio. Un caro saluto.
Antonio
La poesia, eterea, in rete si dissolve come la sabbia. Per ogni autore paura di perdere quanto si è scritto. Il libro è concreto e pensi che le tue parole abbiano radici, con esso, nel mondo. E toccandolo tu “vedi” che esisti.
Quando quantifichiamo le cose o le persone, pecchiamo nel non capire che ci dovremmo bagnare in un mare di sentimenti. Ogni oggetto, o bene tangibile, dà sicurezza. Ecco la magia del libro scritto, al di là di ogni brama di fama.
Ma il libro scritto dà soprattutto -calore-, -gioia- di leggere, anche di studiare.
Vuoi mettere, fare una ricerca tirando fuori tantissimi libri da consultare, con una ricerca fatta in rete? Questa è fredda. Sarà esauriente come contenuti, ma in quell’altra c’è l’anima.
Preferisco camminare su tappeti di carta.
Le pagine, che al tatto danno vita a chi le sfoglia, appassionano solamente perché le sfiori.
Mah, forse sono tra i ‘romantici’, e comunque credo di non essere da sola.
Bambina ricordo che preferivo il tovagliato ricco di colori, che mi metteva allegria e mi stimolava l’appetito piuttosto che quello extra-chic, che mi lasciava fredda e digiuna.
..oggi il libro per me è un po’ come quella tovaglia.
Ora io sto qui scrivendo, ma solo perché oltre il rettangolo che ho davanti io sento il calore di un contatto, quello che il libro dà subito.
Dunque non ‘fame di fama’, piuttosto ‘sete d’amore’.
Un saluto a tutti
non -si è-, ma -ha- scritto.
rina,
come faccio a non essere d’accordo con quello che hai detto?
sì, quella è sete d’amore.
ciao
Concordo con il commento #56 di Fabrizio!
Un caro saluto
un saluto e un grazie ad Antonio e Luca.
d’accordo sul calore del contatto, ma il futuro passa anche per lo schermo. se non ci fosse, non saremmo qui a comunicare. l’appuntamento per il 22 settembre a Roma è un modo per verificare se tra sabbia e pietra c’è compatibilità, e stare a vedere se nasce un filo d’erba.
fabrizio
mi pare di capire che la questione scrivere sulla rete scrivere sul cartaceo possa diventare una questione ontologica, almeno stando agli ultimi commenti secondo cui la poesia eterea in rete si dissolve come sabbia. al di là della metafora forse suggestiva poniamoci la domanda: che cos’è la vera poesia? dove cercarla? dove essa esiste? (e allarghiamo questa domanda all’opera letteraria in genere) davvero la poesia esiste sulla carta come un dipinto sulla tela e una scultura nella materia scolpita? davvero la poesia può identificarsi col nero sul bianco, con carta e inchiostro? davvero la poesia svanisce con lo svanire del supporto su cui è stata vergata? Se così fosse non dovremmo avere che l’originale dell’autore e considerare spurie tutte le altre copie, stampe, links telematici riproducibili all’infinito, se così fosse la poesia svanirebbe in un incendio o in un black-out che cancellasse tutte le memorie del web. ma se l’incendio non colpisse la memoria umana, se anche solo un uomo o una donna ricordassero quell’opera e fossero in grado di offrirla oralmente o di riscriverla essa non risorgerebbe?
la poesia nasce con la memoria, col desiderio di eternità, un’eternità celata nell’essere tramandata di bocca in bocca, da cuore a cuore. essa non è neppure nella ripetizione stessa, troppo diverse sono le letture così come diverse sono le interpretazioni.
eppure la poesia è, esiste, e le diatribe cartaceo telematico non rendono giustizia all’unica cosa che conta, dare spazio ad un’arte fragile ed eterna come tutto ciò che di divino passa per il cuore umano.
saluto tutti
elena f
Elena, hai ragione, però è d’obbligo fissare, per esistere nella lettura, nella memoria.
Sono assolutamente con te quando dici che la poesia si dovrebbe passare verbalmente. Ciò sarebbe l’ideale!! Intraducibile però nella realtà per tanti, io per prima, che non ricorderebbero, non potrebbero ricordare le meraviglie ascoltate. E poi, sai bene come va, nel tempo le parole tendono ad essere storpiate, ed è un peccato perdere l’originale.
Ciao, buon pomeriggio
non -io-, -me- …sbaglio sempre, è che vado sempre di corsa.
non ho detto che la poesia si dovrebbe passare verbalmente, ho posto una questione assai più complessa. dove vive la poesia come arte?
il problema carta web non l’ho posto io.
saluto tutti
elena f
Confesso che avevo letto velocemente e mi era sembrato di aver inteso il tuo punto di vista.
Quanto dici:
“la poesia nasce con la memoria, col desiderio di eternità, un’eternità celata nell’essere tramandata di bocca in bocca, da cuore a cuore. essa non è neppure nella ripetizione stessa, troppo diverse sono le letture così come diverse sono le interpretazioni.”
mi conferma quello che ho sempre pensato, che la poesia cioè non è solo quella scritta, ma può essere trasmessa anche quotidiamente a voce, perché già nel parlato può esistere.
E continui:
“dare spazio ad un’arte fragile ed eterna come tutto ciò che di divino passa per il cuore umano.”
Appunto, vive in noi, dovunque andiamo.
Un bacio, e scusami se non son riuscita ad interpretare. Tu sei profonda, e non ti si può leggere di volata.
ricambio il bacio con affetto rina e grazie dell’attenzione.
elena f.
L’appuntamento con chi, Fabrizio, il 22 settembre a Roma?
Ciao
con me, cara!
facciamo una lettura di poesia nel Teatro del nostro Centro il pomeriggio di sabato 22 settembre. stiamo organizzando il programma.
la questione ulteriore sollevata da Elena mi sembra interessante. ci riporta all’oralità della poesia primitiva e al suo radicamento nella coscienza popolare. Berardinelli afferma qualcosa del genere quando accenna al fatto che nessun verso s’imprime più nella nostra memoria. cosa abbiamo perso lungo la strada? la specializzazione sempre più sofisticata della scrittura ha un rovescio della medaglia fallimentare?
Se nessun verso s’imprime più nella memoria dell’ottimo Berardinelli questo può doversi a scarso esercizio da parte sua e/o letture insufficienti. La poesia contemporanea è memorizzabile non più e non meno di quella moderna antica pregressa prescritta etc. Basta aver tempo e voglia.
Le letture di poesia sempre sono splendide, ma non bastano, si rivelano ristrette a un ambito. Ne gode solo chi è presente.
Bisognerebbe fare in modo che la poesia ci trovi.
“Liberare la poesia”, dice questo post. E perché non -anche- per la via?. Certo non si può camminare e declamare ;), ma chessoio, diffondere la poesia come si fa per qualsiasi prodotto: manifesti affissi in ogni dove, un regalo per chi legge, gratuitamente donato da chi scrive. Sarebbe una festa di versi, rinnovabile, e la poesia entrerebbe a far parte di tutti, a ogni livello.
Buona domenica, Fabrizio
Io ricordo qualche verso di qualche poesia perché l’ho studiata a memoria a suo tempo. Oggi per me è impensabile che io ricordi anche un solo verso anche se scritto da me. Non ricordo a memoria versi bellissimi che ho letto di autori contemporanei, perché ho preferito gustarne l’emozione, piuttosto che star lì a ripetere per ritenerli a mente.
Ricordiamo perché a scuola vige l’esercizio della ‘poesia a memoria’. Solo per questo, ne sono convinta.
Però quando salgo le scale di casa e sento la mia figliola che per stuzzicarmi, vien fuori con qualcosa che ho scritto, mi stupisco. È successo anche che ho letto temi suoi, in cui aveva inserito tranquillamente versi captati a casa.
Considerando che lei non legge niente di quello che io scrivo, ne deduco che abbia immagazzinato da letture mie a voce alta.
Tutto ciò per dire che a voce si lascia il segno ugualmente.
Un saluto
Avendogli un volenteroso telegiornalista Rai chiesto nell’83 quali fossero 3 talismani possibili per l’uomo del 2000, Italo Calvino mise al primo posto: mandare poesia a memoria. Non spiegò bene la ragione, mangiandosi le parole come suo solito disse qualcosa riguardo al fatto che tengono compagnia e aggiunse: anche fare calcoli matematici a mente, difficili, non so, radici quadrate. Calvino aveva ragione da vendere.
Per me la memoria di versi – spontanea, non voluta, non ricercata – ha il seguente significato, che dico con le parole di George Steiner: “La poesia ricordata, lo spartito che suoniamo dentro di noi, sono i guardiani… di ciò che è durevole” (da “Vere presenze”).
Penso che potrebbe essere questo il senso in cui ne parlava Berardinelli. Per me tale memoria è decisiva.
Giovanni al 76,
è bello che tu ci ricordi
questi 3 talismani!
ps.
però invece di sforzarmi nelle equazioni, preferisco ripassarmi le tabelline!
🙂
grazie agli intervenuti (ricambio l’augurio in ritardo, Rina).
secondo me, nel mandare a memoria c’è qualcosa di più di un esercizio e di una volontà. forse, come riporta Giorgio, vi sta “ciò che è durevole”; o forse quella ragione non detta – o detta solo a metà – di Calvino, come ci ricorda Giovanni: una compagnia della qualità nella solitudine della banalità. in questo senso, affiggere poesia qua e là, come propone Rina, potrebbe essere una provocazione da considerare. magari non con l’ipocrisia del giorno dopo dei recanatesi che prendevano il povero Giacomo a sassate (ma ci sono recanatesi colti, intelligenti e sensibili, con la stessa media del resto del mondo).
fabrizio
Anche Monaldo era un recanatese colto, come attesta per ultimo l’epistolario del figlio scansafatiche pubblicato in Meridiano, no? E in quanto alla poesia mandata a memoria, può anche ridursi a mero sfoggio di Kultur male intesa, che nei salotti per Gente di Un Certo Livello fa sempre il suo bell’effetto.
Rispondo a Mmerisi (# 55)
Tale P.G. non è Pasquale Giannino e non c’entra un fico secco con la sua storia. Il discorso è molto più ampio, troppo da pretendere di sviscerarlo tra le pagine di questo interessante e accorato ma pur sempre virtuale cenacolo. Sappi soltanto che io ho ingaggiato una battaglia senza esclusione di colpi contro questi “signori” e sono determinato ad andare avanti. Certo, è una battaglia disperata, in questo bel paese dove i più preferiscono schierarsi dalla parte dei “furbi”. Hai vinto, ce l’hai fatta? Sono con te! A prescindere, come direbbe Totò… Ma io ho la testa dura come le rocce della mia terra e non mi arrendo neanche se mi ammazzano (nonostante abbia ricevuto delle diffide, nonostante molti colleghi autorevoli mi abbiano consigliato di lasciar perdere [pensi a scrivere lei, che prima o poi troverà la sua strada…])? Ci sarebbe tanto da dire, l’ottimo articolo che ho riportato affronta il problema delle piccole case editrici che speculano senza ritegno sull’ambizione letteraria degli aspiranti scrittori (che può essere legittima o no ma, cacchio, se tu “editore” mi gasi, mi dici che sono un talento e che anche Proust, Moravia e Gadda all’inizio dovettero pagare e che la tua casa editrice è in grado di promuovermi e distribuirmi e mi alleghi un plico di mezzo chilo pieno di recensioni altisonanti e mi elenchi una lista di autorevoli “padrini letterari” che hanno collaborato con te [se volete vi faccio anche questi nomi…]… oh my God! come si fa a dire che è colpa mia? in galera, please!). Ci sarebbe tanto da dire… per esempio sulle major. Ah, non lo sapevate? Anche i colossi dell’editoria chiedono soldi e non solo agli scrittori in erba! Allora, è inutile che continuiamo a menarcela, di qua di là, se hai talento prima o poi ce la fai… Siamo italiani, ragazzi! Mi rendo conto che la mia è una battaglia disperata, in un paese dove per difenderti devi ricorrere al Gabibbo e le vetrine delle librerie sono riservate a chiunque tranne che agli scrittori… Ma, del resto, qualcosa bisogna pur fare in questa nostra fugace e assurda esistenza. O no?
Pasquale
Montale provò a vendere l’edizione Gobetti degli Ossi a suo padre. Quel sant’uomo rifiutò l’acquisto, adducendo la buona ragione che gli sembrava troppo costosa (10 lire? Ora non ricordo il prezzo preciso). Gli inizi di quasi tutti i poeti sono almeno fortunosi, gentile Giannino: e difficile si dirà che Gobetti fosse un estorsore d’innocenti, vero.
E quando mai ho asserito ciò di Gobetti? Dell’articolo di cui sopra cosa pensa? Una precisazione: adoro i poeti ma sono un narratore.
@ pasquale
e quindi cosa vorresti fare?
Lo vedi cosa faccio. Tu piuttosto, cosa pensi di fare? Oltre ad autoprodurti e a dire che senti puzza d’artista…
certo che se potessimo anche vederci!
ma forse è meglio così….
cosa vorresti fare di pratico, intendo.
Mmerisi tu non mi conosci. Di pratico ho già fatto: ho curato per circa un anno la rubrica “Pay per publish” su un e-magazine dedicato agli emergenti che mi ha portato, fra l’altro, a coinvolgere l’autrice torinese Alessandra Montrucchio, ho intervistato 26 autori (fra cui Gian Ruggero Manzoni, Vincenzo Guerrazzi, Diego Zandel, Paolo Bianchi, Giorgio Manacorda, Marco Guzzi, Gianfranco Fabbri, Giuseppe Cornacchia, Massimo Sannelli, Cristina Babino…), e ho fatto emergere un mondo che poco o nulla ha a che fare con quello della cultura ufficiale (con la spazzatura che troviamo nelle librerie e per cui i signori critici si riempiono la bocca di tante belle parole…) – alcuni stralci dell’intervista sono reperibili in rete – l’inchiesta completa spero di affidarla presto alle stampe (non a pagamento!). Ecco, ti basta? Ora, saresti così gentile da dirmi cosa pensi di fare tu oltre ad autoprodurti e a dire che senti puzza d’artista?
Grazie.
Pasquale
Ottimo Giannino, mi pare che il tuo tono male si addica a questo pacioso blog di poesia e spirito. Non è perciò il caso di discutere se e quanto fuori della cultura ufficiale siano situati alcuni dei tuoi autori (Manacorda, Bianchi, Montrucchio stessa), sì piuttosto di non scernere con tanta nettezza la cultura buona – quella ufficiosa, fuori dai circuiti e da chi sa quali poteri forti – e quella cattiva – in quanto va nelle librerie (orrore) e per ciò se ne occupano i signori critici. La poesia si libera anche se libera se medesima da ghetti in cui nessuno, eccetto se stessa, ha piacere di confinarsi.
te l’ho chiesto proprio perchè non ti conosco.
io non faccio niente.
cerco, con fortune alterne, di scovare autori nuovi e pubblicarli (senza farli spendere) con una piccola casa editrice (ma ha anche una collana a pagamento con la quale sovvenziona i primi); organizzo un festival di letteratura gialla dove si privilegiano le case editrici indipendenti, quelle che non hanno dalla loro i favori della grande distribuzione; e dove si privilegiano gli autori di qualità ma fuori dai giri di potere.
sono dalla parte dei più ‘deboli’, ma senza astio e senza sbandierare troppo il mio nome.
e poi tengo aperto il naso e apro bene gli occhi.
Bene Mmerisi, apprezzo il tuo impegno. Un po’ meno il tuo modo di porti nei confronti di chi non conosci…
Giovanni, guarda che io sono pazzo di Voltaire e Bertrand Russell, due grandi pacifisti… Eppure sono finiti in galera. Io ancora no… E poi, mi pare che tu esprima un giudizio su alcuni autori senza conoscere ciò che hanno dichiarato. Hai forse degli schemi precostituiti? In ogni caso, la mia è un’inchiesta democratica…
Pasquale, sono pazzo di Tommaso d’Aquino e Cartesio, pratico il dubbio sistematico e mi si fa notare, qui e altrove, che son pure un pirla: né muovo un dito per smentire questa e asserzioni consimili. Ciò detto, temo di aver già scritto che condivido l’opinione sulla democrazia più e più volte espressa da un intellettuale ed economista come Giulio Sapelli, cui volentieri rimando.
la questione dell’ingresso nei circoli ufficiali è molto complessa. gente come Rebora e Campana, ad esempio, ne è stata fuori per parecchio tempo, ma la lista sarebbe lunghissima, come ben sappiamo. credo sia cosa buona denunciare le forme di privilegio e di corruzione, pur sapendo che certi meccanismi dell’industria culturale sono difficilmente scardinabili. le mafie e le baronie sono dappertutto, ma anche quegli strani fenomeni e movimenti collettivi che portano a idolatrare scrittori senza spessore e senza qualità. ritengo sia importante lottare non per affermare se stessi, ma per far emergere i veri valori, che, non dimentichiamo, possono essere anche causa di disturbo per il sistema. vogliamo parlare di una scrittura (poesia e narrativa) che non sia una conferma dell’ordine esistente? la letteratura ha una vocazione rivoluzionaria, in quanto scarto linguistico: vogliamo lottare per una parola che rovesci le strutture ingiuste? anche questo è liberare la poesia.
un saluto a tutti
fabrizio
fabrizio,
credo tu abbia messo un bel punto alla questione.
saluti a tutti e alla prossima.
grazie, Alessandro.
il punto però è provvisorio, perché ci sarà un’ appendice con un botta e risposta tra Berardinelli e un lettore, pubblicato sullo stesso giornale.
Caro Fabrizio hai colto nel segno. Concordo al 100 %: non è proprio il caso di porre un punto fermo alla questione (certo, a tanti farebbe comodo… ma il nostro compito è anche quello di “lottare per una parola che rovesci le strutture ingiuste”: eccome se lotteremo!). So di avere in te un alleato, per lo meno “spirituale”. Ti ringrazio per gli spunti che mi hai offerto e mi scuso per l’asprezza dei toni che avrei preferito evitare, soprattutto in un tuo post. Ma quando il gioco si fa duro…
Un caro saluto.
Pasquale
Se la natura di uno spazio sul Web fosse quello di argomentare la realtà, sarebbe piacevole discutere sull’intervento di Alfonso Berardinelli cercando di creare una piccola coscienza letteraria anche sul Web. Ma nei blog, come spesso capita si registrano determinati interventi che fanno perdere la credibilità di un discorso critico serio e rigoroso. Mi riferisco all’intervento di Gian Ruggero Manzoni su Umberto Piersanti, intervento da cui si evince una scarsa conoscenza della poesia contemporanea. Umberto Piersanti è uno dei più importanti poeti contemporanei nel panorama italiano e come erroneamente viene riferito non è autore di un solo libro. Dopo i Luoghi Persi è con Nel Tempo che Precede, edito da Einaudi nel 2002 (se anche la matematica non è un opinione sono 5 anni), che Umberto Piersanti si conferma come uno dei poeti di riferimento in un panorama tuttora quanto mai frammentato. Le parole di Gian Ruggero Manzoni non hanno alcun basamento nella realtà, ma tuttavia ci danno un motivo in più per dissacrare quanto è stato detto finora. L’articolo di Berardinelli segnalava la mancanza di docenti che “fanno” la poesia contemporanea. Umberto Piersanti è uno dei pochi docenti in Italia che insegna la poesia, fornendo un quadro critico quanto mai ricco e assolutamente privo di dispensine inutili. Alcuni dei testi segnalati nei programmi di Piersanti fanno proprio riferimento alle antologie citate da Berardinelli, che si pongono oggi, ognuna con qualche limite, di fare ordine in un area con pochi poeti veri, ma piena di pseudo-poeti. Per quanto riguarda il rapporto di Piersanti con l’eros, Gian Ruggero Manzoni ci dà un altro spunto per indagare su una delle tematiche più importanti dell’opera del poeta urbinate. Già in un opera fondamentale come “Il tempo differente” del 1974 Umberto Piersanti è anche un poeta portatore di un erotismo luminoso e solare. L’eros di Umberto Piersanti è “l’eros del profondo” così come appare in “Presto ci si rifugiò tra l’Appennino”, uno dei testi più intensi di quel felice libro che una casa editrice seria e raffinata come Salvatore Sciascia decise di pubblicare. Quello che Gian Ruggero Manzoni chiama “folcloristicamente spassoso”, è invece un grande capacità del poeta di ribaltare le cose, cercando un contatto diretto pieno di quella linfa vitale che lo rende, a differenza di quanto scritto, simpatico, allegro e mai una sola volta noioso o ripetitivo. Chi evidentemente scrive certe cose lo fa per motivi di astio che non giovano in alcun modo alla poesia E’ dovere allora dei critici intervenire anche su Internet dove trovano modo di apparire interventi simili. E Gian Ruggero Manzoni è confinato dal suo personalissimo passaggio tra poesia e retorica, come recita il suo “motto-web” : “Nasciamo senza limiti mentali, ma solo con limiti corporei, quindi dal sapere bisogna passare al sentire”. Chi legge attentamente la poesia non ha bisogno certamente di queste “illuminazioni”, possiede già una coscienza letteraria, tale da poter individuare in Piersanti una delle voci più autorevoli del nostro tempo.
ovunque vada, leggo sempre discussioni di questo tipo, ma alla fine… dove portano? sicuramente è interessante leggere le varie opinioni o semplici pensieri, ma la situazione in questo bel paese la sappiamo tutti qual’è… io vivo della mia arte, so quanto è difficile andare avanti, con i mille pregiudizi verso gli “aritsti” e le porte chiuse per il semplice fatto che il mio nome non è famoso… sul fatto del “sei famoso ti pubblico” potrei aprire un dibattito lungo una vita, ma serve? sinceramente penso proprio di no, è logico che in un mondo di dove conta vendere a tutti i costi, che pubblica il “poeta” cantante ligabue, dove critici liberi da vincoli scrivono peste e corna sul lavoro del Liga, ma poi vende migliaia di copie, proprio perchè Liga… bhe e quando mai poeti spersi nelle campagne maremmane avranno mai la possibilità di avere stessa attenzione… e chi avrà mai il coraggio di pubblicare perfetti sconosciuti… torno al mio lavoro, a presto
pubblicare poesie