Un sandalo per Rut. Oratorio per l’oggi. Poeti per Don Tonino

Rut e le lettere migranti. Una storia di incontri
di Anna Maria Curci

Sto spigolando in terra straniera
come Rut, la moabita, a Betlemme
(a.m.c.)

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Il primo incontro
Qualche anno fa, nell’ambito di un ciclo di incontri in biblioteca pensati nello spirito di Etty Hillesum: “…i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo” (1943), decisi di inserire tra le letture proposte un brano biblico, tratto dal Libro di Rut. Il Libro di Rut, nella sua brevità, ha un significato centrale ai miei occhi, perché, nel suo ribadire la scelta dell’accoglienza, ne indica la sua presenza forte e chiara nella cultura ebraica e costituisce un ponte formidabile tra l’Antico e il Nuovo Testamento. L’evangelista Matteo (I, 5) nomina Rut nella sua Genealogia di Gesù e che Rut sia, insieme a tanti uomini, una delle poche donne menzionate in quel contesto, non è casuale. Rut, la moabita, sceglie di seguire la suocera Naomi (Noemi nelle traduzioni correnti) nella terra d’origine di lei. È una straniera, Rut, si muove, donna insieme a una donna più anziana di lei, da un paese patriarcale a un altro, nuovo per lei, ma sempre patriarcale. Quali sono le motivazioni che la spingono a questa scelta? Nello scegliere, quasi istintivamente, questo brano che non appare ai primi posti, per quanto mi è dato sapere, della hit parade catechetica, avevo seguito motivazioni affettive, in cima alle quali era il rimpianto per la ‘mia’ Naomi, partita per il suo viaggio più lungo qualche mese prima. L’affetto era corso avanti alla ragione e, come ebbi la sorte di constatare in seguito, aveva trovato la via giusta. Il brano proposto, tratto dal secondo capitolo del Libro di Rut, ebbe l’effetto immediato di un silenzio assorto. Qualche mese dopo, tuttavia, quando l’argomento fu ripreso nel corso dell’incontro sulla letteratura della migrazione, il Libro di Rut era diventato per il gruppo degli “incontri in biblioteca” un punto di riferimento chiaro.

Il secondo incontro: il Libro di Rut nella traduzione di Erri De Luca

Ma la ricerca era solo iniziata, perché qualche tempo dopo, nel leggere la traduzione di Erri De Luca del Libro di Rut, mi fu dato modo di approfondire due questioni importanti e di aprire una strada ulteriore all’indagine su Rut e le lettere migranti.
Le due questioni, entrambe affrontate da De Luca nell’introduzione, riguardano l’una la presenza di Rut come terza straniera tra lo sparuto gruppo di donne menzionate nella Genealogia che apre il Vangelo di Matteo: si fa riferimento al dipinto di Caravaggio, andato perso a Berlino nel secondo conflitto mondiale, San Matteo e l’Angelo, nel quale Caravaggio immagina, ignorando volutamente il fatto che tutti e quattro i Vangeli fossero stati redatti in greco, l’evangelista Matteo, direttamente ispirato da un angelo con le fattezze femminili, curvo su un rotolo sul quale ha già vergato in ebraico le parole “Elle hattoledòt”, “Queste le generazioni” (ovvero l’inizio della Genealogia di Gesù); l’altra le caratteristiche formali del Libro di Rut, che lo rendono una tappa con connotazioni del tutto particolari nell’Antico Testamento:
“Il libro di Rut si svolge per intero all’aria aperta. È formato da quattro capitoli con 85 versi in tutto. Nell’originale ebraico ci sono 1286 parole, 4800 lettere. È libro di dialoghi: 55 versi appartengono a frasi pronunciate direttamente dai personaggi.”

Il terzo incontro: In Egitto con Paul Celan

Il terzo incontro con la figura di Rut è stato favorito dall’esergo scelto da De Luca per la sua traduzione: si tratta del terzo verso della poesia In Ägypten di Paul Celan. Si trattava, per me, di riprendere la via prediletta dei miei studi universitari. In Celan, biografia e cammino poetico si sono intrecciati, anzi scontrati drammaticamente con la storia, non ultimo tramite la vicenda del suo incontro con Ingeborg Bachmann.
In Ägypten è la prima poesia che Paul Celan compone a Parigi. Già il titolo richiama immediatamente la Bibbia, perché è la traduzione dall’ebraico b’Mitzrayim, un’espressione che sta per “schiavitù, esilio”. Come ha fatto notare John Felstiner nella sua biografia di Paul Celan , è una sola parola nella lingua materna dell’autore, suo unico bene a Parigi, a serbare, custodire, dare asilo a una storia antichissima. Celan ha pubblicato tre volte la poesia In Ägypten, prima di selezionarla tra quelle pubblicate nel volume Mohn und Gedächtnis (Papavero e memoria). Al peso dell’esilio la poesia contrappone un catalogo tutto in positivo di ‘comandamenti’; la formula “du sollst” ripetuta all’inizio di ciascun verso, con la sola eccezione di due degli undici totali, è quella scelta da Lutero nella sua traduzione della Bibbia dai testi originali. Celan, tuttavia, non compone un decalogo; le sue “parole” (questo il termine, tradizionalmente tradotto con “comandamenti”, dell’originale ebraico) sono nove. Il poeta si è voluto così allontanare dalla lettera del dettato dei padri? È un’ipotesi (basata sempre sulla traduzione traduttiva della Bibbia, dal momento che l’originale non presenta un elenco in versetti). Certo è che questa poesia apre il volume Herzzeit (“Tempo del cuore”), che riporta l’epistolario tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann . Si legge, prima della poesia, la dedica Für Ingeborg (Per Ingeborg), un luogo e una data: Wien, am 23. Mai 1948 (Vienna, 23 maggio 1948) e, ancora, l’annotazione Der peinlich Genauen/ 22 Jahre nach ihrem Geburtstag,/ Der peinlich Ungenaue (“Alla estremamente precisa/a 22 anni dal giorno della sua nascita,/ l’estremamente impreciso”; Ingeborg Bachmann avrebbe in realtà compiuto gli anni a giugno, essendo nata il 25 giugno 1926).
Ecco la poesia di Celan nella mia traduzione:

In Egitto
Devi dire all’occhio della straniera: Sii l’acqua.
Devi cercare coloro che sai nell’acqua nell’occhio della straniera.
Devi chiamarle fuori dall’acqua: Ruth! Noemi! Miriam!
Devi adornarle, quando giaci presso la straniera.
Devi adornarle con la chioma di nubi della straniera.
Devi dire a Ruth e a Miriam e a Noemi:
Vedete, dormo da lei!
Devi adornare la straniera accanto a te nella guisa più bella
Devi adornarla con il dolore per Ruth, per Miriam e Noemi.
Devi dire alla straniera:
Vedi, da costoro ho dormito!

Il quarto incontro: Rut da Else Lasker-Schüler

Ruth è il titolo di una poesia di Else Lasker-Schüler, “Jussuf Prinz von Theben”, Jussuf principe di Tebe, come si firmava nelle lettere e nelle cartoline inviate a Franz Marc (“mein lieber wundervoller blauer Reiter”, “mio caro prodigioso cavaliere azzurro”, lo chiamava) e alla moglie di lui, Maria. Ruth è inserita in una raccolta, Hebräische Balladen (Ballate ebraiche) nella quale Else Lasker-Schüler affronta figure bibliche e ricrea un proprio universo di personaggi. Il ciclo di poesie apparve nel 1913 e, in un’edizione ampliata, nel 1914. L’edizione del 1913 porta la dedica “Karl Kraus zum Geschenk” (“In dono a Karl Kraus”). Come ricordava Italo Alighiero Chiusano nel 1985, nel presentare la bella traduzione di Maura Del Serra delle Ballate ebraiche e altre poesie, “Quel terribile stroncatore di Karl Kraus, capace di ridurre in briciole anche scrittori di primissimo piano, nel 1909 definì Else Lasker-Schüler «la più grande poetessa lirica che la Germania abbia mai avuto»”.
La prima edizione di Hebräische Balladen consta di quindici poesie, alcune provenienti da raccolte precedenti, come avviene nel caso di Ruth, già pubblicata nel 1911 in Meine Wunder (“I miei prodigi”). Ecco i versi di Else Lasker-Schüler nella mia traduzione:

Ruth
E Tu mi cerchi davanti alle siepi,
I Tuoi passi sento sospirare,
E i miei occhi sono gocce grevi, scure.
Nella mia anima fioriscono dolci i tuoi sguardi
E si riempiono,
Quando i miei occhi procedono nel sonno.
Alla fonte della mia terra
C’è un angelo
Che canta il canto del mio amore,
Che canta il canto di Ruth.

Il quinto incontro: la Lettera a Rut di don Tonino Bello

Piena di forza e nel segno della parresia, la Lettera a Rut di don Tonino Bello, che Abele Longo ha riproposto nel 2011 sul blog “Neobar”, sembra chiudere il cerchio, concludere il percorso che ho cominciato a seguire, qualche anno fa, di Rut e delle lettere migranti, ma so che non è così. Se non fosse impegno, semplicemente non sarebbe. La storia di Rut è una storia “sovversiva”, racchiude il fascino della fondazione di una umanità nuova e l’impegno a far sì che paura e sopraffazione non facciano tornare indietro, di secoli. Così, al quinto incontro è seguito immediatamente il sesto, il lavoro corale all’oratorio Un sandalo per Rut, ideato, promosso e coordinato da Abele Longo. Sono convinta che altri ne seguiranno. A chi intende ascoltare, Rut continua a parlare con voce limpida, a camminare in terra straniera, ad affiancare gli ultimi, a costruire ponti.

3 pensieri su “Un sandalo per Rut. Oratorio per l’oggi. Poeti per Don Tonino

  1. rosaria di donato

    Di incontro in incontro, Anna Maria Curci, è giunta all’ Oratorio per l’oggi dei Poeti per Don Tonino: “Un sandalo per Rut” vuole essere una proposta di speranza, di civiltà, di integrazione, di pace, di futuro possibile in un mondo che cambia non senza contraddizioni e difficoltà,ma che non rinuncia all’ospitalità e al dia-logo.

    Rosaria Di Donato

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  2. augusto43

    Abbiamo battezzato “Un sandalo per Rut” al teatro don Mario Torregrossa, ma forse non siamo stati in grado di farne capire la portata di cui parla diffusamente e sapientemente Anna Maria e sottolinea Rosaria col suo commento. A me piace che tu, cara Anna Maria, abbia riportato i versi di Else Lascker-Schuler , che conobbe mia nonna nelle campagne di Genazzano (di cui scrisse una poesia) , che io ho rielaborato così:

    Genazzano nella sera invernale
    Nello zoccolo vitreo degli asini
    Sull’erta della città rupestre
    Come la cantò Marie Luise Kaschnitz
    La poetessa tedesca che forse conobbe
    Mia nonna, la giovane Elisa c
    he andava alla fontana.
    «Qui lavai la mia camicia di sposa
    Qui lavai la mia camicia di morta».

    Povera nonna con la faccia bianca
    E la lunga treccia di capelli nerissimi
    Distesa nell’acqua fredda della sera
    Che torna nel vento di foglie dei platani
    E le mani come due blocchi di ghiaccio.
    Che sventura innamorarsi di un Augusto
    Benemeglio sognatore e scioperato guardacaccia,
    Proprio nel giorno della risurrezione.

    Mia nonna giovinetta bella coi capelli corvini
    Con la pelle chiara che respirava la rugiada
    Con la mano stesa al frutto del melograno
    Con lo splendore di uno sguardo che accendeva
    Tutti i fanali di Genazzano…

    Fu quello stesso amore
    che salvò mio fratello e me.orfani di madre.
    Quando ami davvero non è più tua la vita
    È piena di tagli squarci ferite croci e cocci
    Ciottoli, frantumi, sei un quadro pieno di tagli
    Fontaniani, una poesia di Sbarbaro, o Montale
    Sei un povero Cristo che sta sempre lì
    Eternamente appeso al palo infame e nessuno
    Nessuno che ti dica – qualche volta – grazie.

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  3. Pingback: Raffaela Fazio, Midbar | Poetarum Silva

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