Intervista di Gino Rago a Giorgio Linguaglossa sul suo ultimo libro saggistico sulla «nuova poesia»

Intervista di Gino Rago a Giorgio Linguaglossa sul suo ultimo libro saggistico sulla «nuova poesia», L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe,l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch,il Covid, la Moda, la Poetry kitchen) Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022, pp. 232 con una poesia kitchen da Le risposte del Signor Cogito

 

Domanda: Il retro di cover di L’Elefante sta bene in salotto,  una riflessione sulla «nuova poesia» che si snoda per 222 pagine, recita:

»L’Elefante sta bene in salotto. Intanto, con la sua proboscide fracassa il vasellame, le suppellettili e tutti i ninnoli; ci dice che siamo già oltre i confini del Moderno, che siamo in pieno Dopo il Moderno, nell’epoca del modernariato e del vintage come repertorio permanente di stili defunti che possono essere ripescati riciclati e disusati; ci dice che non c’è alcun elefante, che tutto è a posto, che i nostri dubbi sono in realtà miraggi, prodotto di scetticismo e di cinismo, che abitiamo il migliore dei mondi possibili e ci invita a costruire con uno stile patico le nostre abitazioni di cartapesta ed i lungometraggi con i quali allietiamo le nostre solitudini sociali. Il Signor Capitale ci ammannisce la sordità e la cecità ad obsolescenza programmata, ci dice che l’ultroneo va bene per situazioni ultronee e va bannato, che il reale è razionale e che non esiste nulla di meglio della condizione in cui ci troviamo. Nella realtà viviamo come se fossimo a bordo di un sommergibile: amiamo e odiamo senza le isoglosse del desiderio e della passione, preda di invidie distopiche; in realtà siamo tutti diventati apatici e atopici. 

La poesia kitchen è un «luogo di enunciazione», un «campo linguistico» al di qua del soggetto dell’enunciazione, un «campo costellato di proprietà, di possibilità». Qualsiasi «real object» può essere «ready made» e può diventare arte. Ciò che Lyotard chiamava il «sublime tecnologico» potremmo tradurlo, con il nostro linguaggio, come poiesis kitchen. La fine della metafisica ci pone davanti a un nuovo orizzonte nel quale viene a cadere il confine che per duemilacinquecento anni ha costruito la poiesis sulla nozione aristotelica di mimesis. La poetry kitchen adotta il linguaggio desublimato del mondo della tecnica. Ciò che Lyotard chiamava il «sublime tecnologico» potremmo tradurlo, con il nostro linguaggio, come poiesis kitchen, dove l’ultroneo distopico entra a far parte del testo. Il soggetto si scopre subordinato alle leggi del linguaggio: mentre egli parla, il linguaggio non sa che direzione potrà prendere la mia/tua/sua/nostra/vostra/loro parola. La parola va sempre in una direzione che il codice del linguaggio non può prevedere. E così la forma-poesia diventa un campo attraversato da linee di forza divergenti, contraddittorie.

Il Covid19 e la guerra in Ucraina hanno reso evidente che non soltanto il soggetto è diventato «scabroso» per via delle sue illusioni videologiche, ma anche che il mondo si è rivelato per quello che è: «scabroso», «osceno», «inabitabile», «vergognoso».

 

Ti chiedo: che cosa intendi per «riterritorializzazione delle tecniche [poetiche] precedenti»?

Risposta: «Riterritorializzare» le tecniche precedenti (la rima, il ritmo, il piede, il metro, l’assonanza, la consonanza, il parlato, il dialogato, le voci interne, le voci esterne, il distico, la strofe, il salto, il frammento, la peritropè, la metafora, l’allegoria, la metonimia, la metalepsi, l’entanglement etc.) vuol dire averle incorporate in un «nuovo modello», in una «nuova poiesis», qualcosa di radicalmente distinto e diverso dal modello della poesia lirica, post-lirica ed elegiaca della tradizione, tanto per utilizzare le categorie continiane.

Domanda: Tu hai scritto, forse in modo un poco sibillino: 

L’evoluzione della poiesis va in parallelo con l’evoluzione tecnologica […] ogni tecnica è il prodotto di una riterritorializzazione delle tecniche precedenti. Con il che intendo dire che fare una poesia kitchen implica aver operato una riterritorializzazione delle tecniche precedenti, aver cioè imparato a far interagire in modo inatteso e inconsueto le tecniche precedenti in funzione di un «nuovo modello» di poiesis. L’evoluzione della poiesis va in parallelo con l’evoluzione tecnologica, questo implica aver colto il punto in cui una tecnica non può essere ulteriormente sviluppata senza l’ausilio di una riterritorializzazione della medesima tecnica.
Ad esempio, è stato Marx il primo a suggerire che ogni macchina è sempre la riterritorializzazione di precedenti relazioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione, la divisione del lavoro è il prodotto dei conflitti sociali e dai conflitti ideologici, l’evoluzione tecnologica è il risultato del combinato disposto tra i conflitti ideologici e i rapporti produttivi. Gli ingranaggi del meccanismo biopolitico si intrecciano con i meccanismi delle risultanze ideologiche e dei conflitti tra le forze produttive e i rapporti di produzione, la tecnica è a sua volta il risultato e la soluzione di tutti questi conflitti su un altro piano. Le macchine sono forgiate dalle forze produttive ed evolvono in accordo con esse. Anche le macchine informatiche sono la cristallizzazione di conflitti sociali e del contrasto tra le forze produttive e i rapporti di produzione. La locomotiva a vapore è il risultato di un complesso rapporto tra le forze produttive e i rapporti di produzione dell’epoca della prima rivoluzione industriale in Europa. Così anche le macchine informatiche sono il prodotto del capitalismo cognitivo, il prodotto di complesse interazioni ideologiche con i conflitti sociali e tecnologici; ad esempio la tecnologia green sta sostituendo e sostituirà la tecnologia fondata sulle fonti energetiche fossili, oggi abbiamo il metodo dialettico per comprendere l’infrastruttura del capitalismo cognitivo che comprende la «società dell’informazione», la «società della conoscenza», «il mondo della rete», etc. Le macchine industriali non erano la sostituzione pura e semplice dei cavalli vapore degli operai, ma corrispondevano ad un intero insieme di relazioni sviluppate nel periodo manifatturiero del capitalismo; così le macchine informatiche vengono a sostituire un insieme di relazioni cognitive già al lavoro ad esempio all’interno della fabbrica industriale del post-fordismo. Analogamente, un dispositivo linguistico ha luogo all’interno di determinati modelli stilistici e linguistici, la nuova fenomenologia del poetico è nient’altro che il prodotto della cristallizzazione dei nuovi rapporti produttivi determinati dalla evoluzione del capitalismo cognitivo.

Risposta: Il dispositivo che abbiamo messo a punto in questi anni insieme a tutti gli amici de lombradelleparole.wodpress.com ha dato luogo ad un genere di poiesis completamente nuovo: la poetry kitchen, quale ultimo stadio della ricerca verso una nuova ontologia estetica e una nuova fenomenologia del poetico che altro non è che il risultato di una complessa interazione tra le tecniche linguistiche oggi disponibili e le tecniche, il software, delle macchine informatiche e dei rapporti di produzione che hanno dato luogo a quelle tecniche.

Domanda: Vuoi dire che la ricerca di una nuova ontologia estetica o fenomenologia del poetico è il prodotto del mondo mediatico e del «sublime tecnologico», come lo definiva Lyotard?

Risposta: Il «sublime tecnologico» di cui parlava Lyotard è stato derubricato a «de-sublimazione tecnologica», la pratica kitchen rientra in questo nuovo quadro concettuale e in questo nuovo orientamento della poiesis. Si può scegliere di restare all’interno del perimetro della poesia della tradizione recente incentrata sulla Maestà dell’Io plenipotenziario, ma si farà una poesia tradizionale, accademica che non risponde e corrisponde alle esigenze dei tempi. I tempi chiedono altro.

Domanda: Un poeta deve guardare al passato o al futuro?

Risposta: Penso che un poeta debba non soltanto guardare al futuro ma debba inventarsi il futuro e il linguaggio del futuro. Penso che debba «reinventare il reale», come diceva Baudrillard, ma per far ciò deve reinventare un linguaggio e un nuovo modo di abitare il linguaggio.

Domanda: Ennio Flaiano diceva: «Faccio progetti soltanto per il passato».

Risposta: Io faccio progetti soltanto per il futuro.

Domanda: il salto e la peritropè, il polittico, il capovolgimento, l’entanglement sono caratteristiche essenziali della poetry kitchen?

Risposta: Sì, e ci aggiungerei la «parallasse», cioè il cambiamento del punto di vista e della linea di visione di un soggetto che si sposta lungo lo spazio e il tempo, che permette la raffigurazione di un oggetto mutante, che muta in rapporto con lo spazio e con il tempo, oltreché in rapporto con il soggetto. Ritengo l’impiego della «parallasse» fondamentale per la «nuova poesia», unitamente all’impiego del «polittico».

Domanda: Insomma, tu dici che si deve inventare un linguaggio che non c’è?

Risposta: Esatto.

Domanda: Un compito non del tutto semplice.

Risposta: Per prima cosa bisogna liberarsi della parola «poesia», troppo inquinata e adulterata da parolismi e parolieri che fanno un lavoro nel migliore dei casi di modernariato conservativo, per pensare e parlare in termini di «poiesis». È dal concetto di una nuova «poiesis» che nasce la nuova poesia. Finché non si pensa in termini di «nuova poiesis» si ritornerà a fare poesia post-elegiaca nel migliore dei casi o poesia narrativa nel peggiore.  A mio avviso, finché non si pensa in termini di «poiesis», di «composizione», e quindi di «peritropè», cioè di capovolgimento e di metalepsi non si può parlare di «nuova poesia».

Domanda: È possibile, quindi, a tuo avviso, abitare un linguaggio inventato?

Risposta: A mio avviso, non solo è possibile ma è il solo modo per fare poesia.

Domanda: La tua raccolta poetica ancora inedita su carta, Risposte del Signor Cogito, è scritta con un linguaggio inventato?

Risposta: Satura (1971) di Montale fa da spartiacque, dopo quella raccolta si entra nella stagione del maggioritario, nasce la poesia del consenso maggioritario, poesia da diario, poesia privata e privatistica, poesia dell’io egolalico e plenipotenziario. Una poesia da risultato sicuro.. La poesia che seguirà risponderà alla esigenza di apparire maggioritaria, una poesia governativa buona per tutte le stagioni politiche. Con una dizione che è stata in voga negli anni novanta, appare una poesia adatta al «modello del mini canone». Nasce allora il Partito poetico a vocazione maggioritaria. Ecco, il mio lavoro fin dagli anni novanta ad oggi si è diretto a infrangere il tegumento del Partito poetico a vocazione maggioritaria.

 

Domanda: Un lavoro di Sisifo.

 

Risposta: Sì.

 

Una poesia inedita di Giorgio Linguaglossa da Le risposte del Signor Cogito

 

Stanza n. 1

 

Cogito stappa ogni giorno una bottiglia di Asti spumante e apre una scatoletta di carne Simmenthal, cerca colà la verità che si può digerire. Peraltro, si assicura sempre una via di fuga. Ad esempio, la scala di servizio in ferro all’esterno dell’edificio, sito in Marketstrasse n. 7,  quinto piano, che deve essere sempre sgombra da masserizie e rifiuti.

 

La materia oscura della pagina bianca si offre al filosofo ogni mattina con il caffè. 

Anni trenta. 

Cogito gira la manopola della radio in radica.

Sorseggia il caffè.

Adesso può ascoltare “An der schönen blauen Donau”, Op.314 Wiener Philharmoniker,  diretta da Herbert von Karajan.

Il Signor Putler ha invaso l’Ucraina.

 

L’unghia smaltata di K. agguantò al volo il calice del Campari

che oscillava negli stagni Patriarsci.

Il direttore d’orchestra depose la bacchetta, i musicisti se la filarono, il pubblico prese a fluire.

 

«L’onda d’urto dell’oscurità – disse K. -, viaggia a tale folle velocità che in breve spazzerà via dalla terra gli omuncoli con i quali Ella è in commercio, e con essi il vuoto e il pieno della loro marmellata guasta».

 

Zlatan Ibrahimovich prende a calci un pallone e fece goal.

Kim Kardashian in attendance of  Kylier Jenner at Arrivals for Manus X Machina Fashion  in An Age Of Technology, drink a coffee.

«The print is ready for hanging or framing!»,

pronuncia il pappagallo verde che indossava uno chiffon giallo al collo,

poi scende dal trespolo e gorgheggia di nuovo:

«The print is ready for hanging or framing!».

 

L’autobiografia della pioggia prese a  litigare con la biografia della neve.

Le bombe caddero sugli asili nido e sugli ospedali.

L’apriscatole entrò in ostilità con il barattolo di marmellata.

«C’è un agente morboso», disse K. rivolto ad Azazello.

Nel frattempo la mano ingioiellata di K. agguantò in aria un secondo Campari.

 

«Se c’è, c’è il morbo», addusse quest’ultimo.

Tirò fuori dal taschino della giacca un ipotocasamo nuovo di zecca,

e con quello cominciò a frinire, a fare saltelli di gioia. 

 «E se non c’è?», 

chiese amabilmente Azazello dopo l’ennesima giravolta.

«C’è la guarigione», replicò K. passeggiando rumorosamente con i mocassini  nuovi  di zecca made in Italy a sovranità alimentare.

Là, vede?, nella teca c’è il Covid19!».

Il berretto verde di K. ebbe un sussulto.

 

«Sono i risultati delle tre carte, caro  Cogito.

Il principio di concordanza. Nient’altro che un gioco di prestigio.

Tuttavia, come sa, la poiesis  nasce da un lancio di dadi su un piano inclinato…

Il Covid19? 

È un numero, un  elemento della perturbazione universale che concorre  con una perturbazione ancora più universale…Quella parte del tutto che vuole costantemente il male e invece concorre a produrre costantemente il bene.

Al di là del principio del bene e del male. 

Ovviamente.»

 

Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Per la poesia esordisce nel 1992 con Uccelli (Scettro del Re), nel 2000 pubblica Paradiso (Libreria Croce). Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura “Poiesis” che dal 1997 dirigerà fino al 2006. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di “Poiesis”. È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).

Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, per le edizioni EdiLet pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italia-no/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 escono la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma), nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019. Nel 2002 esce  l’antologia Poetry kitchen che comprende sedici poeti contemporanei e il saggio L’elefante sta bene in salotto (la Catastrofe, l’Angoscia, la Guerra, il Fantasma, il kitsch, il Covid, la Moda, la Poetry kitchen). È il curatore della Antologia Poetry kitchen e del volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2014 ha fondato e dirige tuttora la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, prosegue la ricerca di una «nuova ontologia estetica»: dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia meta stabile dove viene esplorato  un nuovo paradigma per una poiesis che pensi una poesia delle società signorili di massa, e che prenda atto della implosione dell’io e delle sue pertinenze retoriche. La poetry kitchen, poesia buffet o kitsch poetry perseguita dalla rivista rappresenta l’esito di uno sconvolgimento totale della «forma-poesia» che abbiamo conosciuto nel novecento, con essa non si vuole esperire alcuna metafisica né alcun condominio personale delle parole, concetti ormai defenestrati dal capitalismo cognitivo.

Gino Rago è nato a Montegiordano (Cs) nel febbraio del 1950 e vive tra Trebisacce (Cs) e Roma. Laureato in Chimica Industriale presso l’Università La Sapienza di Roma è stato docente di Chimica. Ha pubblicato in poesia: L’idea pura (1989), Il segno di Ulisse (1996), Fili di ragno (1999), L’arte del commiato (2005),  I platani sul Tevere diventano betulle (2020). Sue poesie sono presenti nelle antologie Poeti del Sud (2015), Come è finita la guerra di Troia non ricordo (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2016). È presente nel saggio di Giorgio Linguaglossa Critica della Ragione Sufficiente (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018). È presente nell’Antologia bilingue curata da Giorgio Linguaglossa How the Trojan War Ended I Dont’t Remember (Chelsea Editions, New York, 2019). È nel comitato di redazione della Rivista di poesia, critica e contemporaneistica “Il Mangiaparole”, è redattore delle Riviste on line lombradelleparole.wordpress.com – È uno degli autori presenti nella Antologia Poetry kitchen e nel volume di contemporaneistica e ermeneutica di Giorgio Linguaglossa, L’Elefante sta bene in salotto, Ed. Progetto Cultura, Roma, 2022. Nel 2022 pubblica la raccolta Storie di una pallottola e della gallina Nanin con Progetto Cultura di Roma.

15 pensieri su “Intervista di Gino Rago a Giorgio Linguaglossa sul suo ultimo libro saggistico sulla «nuova poesia»

  1. Giorgio Linguaglossa

    Scrive Andrea Cortellessa in un saggio dedicato al rapporto antagonista che ha legato Fortini e Zanzotto:

    “Che l’ironia, la gestione ironica del patrimonio letterario tradizionale, sia unica possibile via d’accesso al sublime lo dice proprio la dittologia «sublime» e ridicolo destino attribuita al Barone di Münchhausen e, lui tramite, all’universale condizione. Si tratta di quella che in retorica si dice preterizione e, in psicoanalisi, formazione di compromesso (anche se Zanzotto, come s’è visto, preferisce parlare di sublimazione), ma che Giorgio Agamben ha recentemente ricondotto alla sua valenza religiosa – la più adatta, tutto sommato, a de?nire l’atteggiamento di Zanzotto.
    Se la poesia moderna, secondo il ?losofo, è caratterizzata da una dimensione complessivamente parodica è perché essa ha perso il suo legame originario, naturale, con il canto: cioè appunto col carmen, la celebrazione del nume. In un tempo secolarizzato, o come egli preferisce dire profanato – con gli dèi estinti o fuggiti, cioè –, all’artista non resta chela «parodia» come «forma stessa del mistero»: in quanto «essenziale alla parodia è la presupposizione dell’inattingibilità del suo oggetto». In questo senso la «parodia» è «paraontologia»: perché «esprime l’impossibilità della parola di raggiungere la cosa e quella della cosa di trovare il suo nome»”1
    Io penso che la poesia «odierna», la poesia con modalità kitchen, reduce della guerra che la poesia moderna ha fatto al mondo, abbia del tutto abbandonato l’idea della dimensione parodica e/o ironica, che in qualche modo – lo dice anche Agamben – dipendeva dal legame ombelicale che la legava al canto, al carmen. Nell’orientamento della NOe non c’è, se mai c’è stato, più alcun collegamento con il carmen, c’è stato il passaggio del Rubicone, il carmen è alle spalle, come è alle spalle tutto intero lo Zanzotto da Dietro il paesaggio (1951), a Ecloghe (1962) a La Beltà (1968) in quanto erede del «canto» e quindi ancora in qualche misura la poesia zanzottiana dipende da ciò verso cui pende prendendone la misura: dalla impostazione neoermetica.
    In questa mia composizione, invece, che è del 2011, siamo fuori del «canto», siamo fuori dal Petrarca e da Zanzotto, e siamo fuori anche dagli anti petrarchisti come Mario Lunetta. Ormai il «canto» è dato per sepolto e morto. Negli autori della poetry kitchen non si dà più alcuna dimensione parodica, questo è un fatto storico. Il derisorio, se c’è, è in re, non sopra la res. Al posto del significante si dà il fuori-significante, al posto del significato si cerca il fuori-significato. Elementi essenziali della NOe kitchen sono il «montaggio» e i salti spaziali e temporali, in mancanza di questi Fattori la poesia rischia di tornare (inconsapevolmente) verso il significato ironico o parodico che dir si voglia. E Amen, si torna indietro. Qui e là io lo vedo questo pericolo.

    AA.VV. Andrea Cortellessa in Andrea Zanzotto un poeta nel tempo, è. 118

    La poesia kitchen è il risultato di questa assunzione di responsabilità: un nuovo mondo si è aperto con possibilità inattese e imprevedibili, e un altro si è chiuso

    Rispondi
  2. Giorgio Linguaglossa

    riscrivo la poesia inedita da Le risposte del Signor Cogito con l’interlinea singola

    Stanza n. 1

    Cogito stappa ogni giorno una bottiglia di Asti spumante e apre una scatoletta di carne Simmenthal, cerca colà la verità che si può digerire. Peraltro, si assicura sempre una via di fuga. Ad esempio, la scala di servizio in ferro all’esterno dell’edificio, sito in Marketstrasse n. 7, quinto piano, che deve essere sempre sgombra da masserizie e rifiuti.

    La materia oscura della pagina bianca si offre al filosofo ogni mattina con il caffè.
    Anni trenta.
    Cogito gira la manopola della radio in radica.
    Sorseggia il caffè.
    Adesso può ascoltare “An der schönen blauen Donau”, Op.314 Wiener Philharmoniker, diretta da Herbert von Karajan.
    Il Signor Putler ha invaso l’Ucraina.

    L’unghia smaltata di K. agguantò al volo il calice del Campari
    che oscillava negli stagni Patriarsci.
    Il direttore d’orchestra depose la bacchetta, i musicisti se la filarono, il pubblico prese a fluire.

    «L’onda d’urto dell’oscurità – disse K. -, viaggia a tale folle velocità che in breve spazzerà via dalla terra gli omuncoli con i quali Ella è in commercio, e con essi il vuoto e il pieno della loro marmellata guasta».

    Zlatan Ibrahimovich prende a calci un pallone e fece goal.
    Kim Kardashian in attendance of Kylier Jenner at Arrivals for Manus X Machina Fashion in An Age Of Technology, drink a coffee.
    «The print is ready for hanging or framing!»,
    pronuncia il pappagallo verde che indossava uno chiffon giallo al collo,
    poi scende dal trespolo e gorgheggia di nuovo:
    «The print is ready for hanging or framing!».

    L’autobiografia della pioggia prese a litigare con la biografia della neve.
    Le bombe caddero sugli asili nido e sugli ospedali.
    L’apriscatole entrò in ostilità con il barattolo di marmellata.
    «C’è un agente morboso», disse K. rivolto ad Azazello.
    Nel frattempo la mano ingioiellata di K. agguantò in aria un secondo Campari.

    «Se c’è, c’è il morbo», addusse quest’ultimo.
    Tirò fuori dal taschino della giacca un ipotocasamo nuovo di zecca,
    e con quello cominciò a frinire, a fare saltelli di gioia.
    «E se non c’è?»,
    chiese amabilmente Azazello dopo l’ennesima giravolta.
    «C’è la guarigione», replicò K. passeggiando rumorosamente con i mocassini nuovi di zecca made in Italy a sovranità alimentare.
    Là, vede?, nella teca c’è il Covid19!».
    Il berretto verde di K. ebbe un sussulto.

    «Sono i risultati delle tre carte, caro Cogito.
    Il principio di concordanza. Nient’altro che un gioco di prestigio.
    Tuttavia, come sa, la poiesis nasce da un lancio di dadi su un piano inclinato…
    Il Covid19?
    È un numero, un elemento della perturbazione universale che concorre con una perturbazione ancora più universale…Quella parte del tutto che vuole costantemente il male e invece concorre a produrre costantemente il bene.
    Al di là del principio del bene e del male.
    Ovviamente.»

    Rispondi
  3. gino rago

    Dico grazie a Fabrizio Centofanti per l’ospitalità su La poesia e lo spirito e, mettendo a frutto le domande di un lettore sulla Poetry kitchen, cerco di pronunciare qualche altra parola su questo nuovo “dispositivo poetico” su cui ho incentrato la mia intervista a Giorgio Linguaglossa, magnificamente allestita da Fabrizio Centofanti e dalla redazione di La poesia e lo spirito.
    *
    Gentile Gino Rago, Gentile Redazione,
    […] si parla sempre più spesso di Poetry Kitchen e di «montaggio». Perché la necessità di proposta di questo nuovo «dispositivo poetico» indicato da Giorgio Linguaglossa come Poetry kitchen?
    E cosa intendere per “immagini” e “montaggio”?
    Vorrei poter leggere una parola chiarificatrice in proposito.
    (Rocco S., da Latina)

    Risposta
    Gentile Rocco S.,

    Sul perché di un nuovo dispositivo poetico (Poetry kitchen) direi che lo hanno dimostrato anche le antologie Il pubblico della poesia, curata nel 1971
    da Berardinelli e Cordelli, La parola innamorata, pubblicata nel 1978 da
    Pontiggia e da Di Mauro, Poesia italiana degli anni Settanta, a cura di
    Porta, uscita nel 1979, Lo sparviero sul pugno di Lanuzza del 1987: in
    molti dei testi pubblicati si nota la presa di distanza dallo sperimentalismo
    per approdare a quelle Poesie scritte col lapis dell’allora giovane Moretti
    (alle quali si aggiunse “da cancellare con la gomma”). Altro che neo-
    romantici, questi con il vero romanticismo nulla hanno a che fare, di ribellione e
    dolore, sofferenze e ansie, pessimismo e ossessioni non vi troviamo nessuna traccia
    mentre c’è invece una sorta di placida accettazione dell’esistente poggiata peraltro sul dominio incontrastato dell’Io …

    E allora? E allora, filosofia del frammento, immagini dialettiche, interruzioni del
    continuum storico, passages, entanglement, Atlante Mnemosyne, memoria
    intrisa d’oblio, serendipità, cioè, Poetry kitchen e «montaggio», sia
    secondo l’idea di Benjamin, sia soprattutto secondo la visione di Aby Warburg (1866-1929) il quale indicò nella «sopravvivenza» il motivo centrale del suo
    approccio antropologico all’arte occidentale, sopravvivenza studiata nella
    sua logica, nelle sue fonti, nelle sue risonanze filosofiche, che, come dice
    una nota di un anonimo studioso di Warburg, «va dalla storicità
    secondo Burckhardt all’inconscio secondo Freud, passando per l’eterno
    ritorno secondo Nietzsche, la memoria biologica secondo Darwin, la
    morfologia secondo Goethe».

    Una molteplicità di approcci come unico mezzo per descrivere la “vita”
    delle immagini e i paradossi costitutivi dell’immagine stessa, ovvero:
    – la sua natura di “fantasma”;
    – il suo potere di trasmettere il pathos;
    – la sua struttura di “sintomo”;
    – la sua natura di teatro dei tempi.
    Senza queste premesse è impossibile cogliere nella sua pienezza
    il concetto di “montaggio”, che poi è, per me, la parola-chiave della Nuova
    Ontologia Estetica, in generale, e della Poetry kitchen, in particolare.
    E «montaggio» secondo Warburg in cui i “frammenti” sono posizionati senza nessun ordine consequenzial-deduttivo, ma secondo una visione centrifuga in cui le immagini si rimandano una all’altra senza nessun vettore logico-deduttivo, «montaggio» nel quale il concetto centrale è l’«intervallo», lo spazio fra le immagini nel quale si attiva il pensiero del fruitore-osservatore perché secondo Warburg è lì, proprio nello stridere di due immagini diverse che si mette in moto il pensiero dell’osservatore, esattamente com’è in un dispositivo poetico della Poetry kitchen in cui il lettore gioca un ruolo decisivo.

    (Gino Rago)
    4 novembre 2022

    Rispondi
    1. fabrizio centofanti Autore articolo

      Grazie Gino. È importante capire che il pensiero nasce sempre dal contrasto. L’omologazione contemporanea, dunque, non fa altro che uccidere il pensiero.

  4. Giorgio Linguaglossa

    È cosa nota la determinazione heideggeriana dell’essenza della metafisica come oblio della differenza di essere ed essente, nonché la contrapposizione del pensiero metafisico ad un pensiero più originario che che viene individuato da Heidegger nei detti dei pensatori aurorali presocratici. Si presenta così un contrasto: un’immagine della storia dell’essere che comincia con il pensiero autentico aurorale per poi cadere nell’oblio della differenza con l’avvento di Platone di contro ad un’immagine che pone la stessa storia dell’essere come storia dell’oblio – togliendo, allora, ogni compiuto riferimento autentico all’essenza dell’essere.
    Come va, allora, intesa la differenza, se si vuole negare che Heidegger sia incappato in una così evidente ed ingenua contraddizione, e se si vogliono dunque tenere insieme le due immagini indicate? Come intendere, poi, la Seinsvergessenheit – l’oblio dell’essenza dell’essere?
    Come questo medesimo Wesen? È qui in questione l’inizio della Metafisica – la quale resta pur sempre il pensiero dell’oblio.

    Giunti alla fine della Seinsvergessenheit, adesso sappiamo (da Massimo Cacciari, Krisis, del 1975) che all’origine del linguaggio non c’è la parola ma il «grido», il grido di spavento e di terrore dell’homo sapiens perso nella savana che si ritira. Giunti alla fine della metafisica e alla fine della storia, dunque, torniamo al «grido», alla «parola piena», alla parola «positiva» che esaurisce le sue significazioni nel detto, nell’integralmente detto. Nella situazione attuale della storia ridotta a storialità e della fine della metafisica ridotta a fuori-della-metafisica, la parola ridiventa «piena», priva di sfumature semantiche. Ci troviamo nell’epoca della comunicazione universale che deprime ogni sfumatura di senso e preferisce la differenza bianco/nero dove il chiaroscuro viene tendenzialmente cancellato e rimosso e il Grande Altro tende a occupare e sostituire il piccolo altro… ed ecco la parola che rimbalza come una pallina di gomma…

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  5. Marie Laure Colasson

    Scrive Linguaglossa :

    Nasce allora il Partito poetico a vocazione maggioritaria. Ecco, il mio lavoro fin dagli anni novanta ad oggi si è diretto a infrangere il tegumento del Partito poetico a vocazione maggioritaria.

    Il Logos chiama il Nomos, potremmo dire, la parola ha perso se stessa, vaga in una zona di compromissione nella quale a latitare è il significato, il referente, l’oggetto e che nulla lo giustifica, né il soggetto egolalico né l’oggetto posizionato… la parola liberata apre al discorso libero e liberato… così nel mondo storializzato (privo di storia) la poesia del novecento si allontana alla velocità della luce…
    Così scopriamo che il partito a vocazione maggioritaria, quello poetico che fa della poetologia è rimasto privo di giustificazione, scopriamo che è arbitrario, né più e né meno come il disegno di decreto legge messo giù dal ministro Piantedosi dove ti accorgi che la norma manca di oggetto, davvero! l’oggetto è scomparso, si parla di “raduni” di 50+1 persone… Non si era mai vista prima d’ora una formulazione di tal fatta, è il mondo storializzato dove tutto è possibile perché tutto è arbitrario. Così una norma che commina fino a 6 anni di carcere in realtà è senza oggetto, si parla di “raduno”, e il cittadino diligente d’ora in avanti dovrà prima fare il conteggio di quante persone ci siano in un “raduno”, se sono 49 potrà partecipare ma se sono 50, NO, perché a 51 scatta la sanzione penale fino a 6 anni di carcere. E’ talmente grossolana questa norma con la filosofia che la sottende è – Ecco: le parole finalmente liberate si rivelano arbitrarie. La filosofia che sostiene e sottende quelle parole si rivela essere ancora più grossolana, rozza, inquisitoria, totalitaria. Evidentemente Piantedosi è andato a scuola di normazione da Putin!

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  6. fabrizio centofanti Autore articolo

    Il problema è l’ovvio: se non c’è stupore, non c’è conoscenza. L’indifferenza è il marchio di fabbrica della società mercantilistica. L’ovvio è l’unica cosa che non si mette in discussione. L’indifferenza nega, al tempo stesso, l’identità e l’uguaglianza.
    È necessario ritrovare uno spazio, un’apertura inattesa, una novità che, pur essendo da sempre, si svela ora, in modi sempre nuovi, grazie al fare spazio dell’uomo. Essere e amare coincidono nel fare spazio. Senza questo, la comunità umana è distrutta, come vediamo oggi. Bello, buono e vero si rivelano nel fare spazio, nel creare una possibilità di convergenza, e poi nel rimanervi. Altrimenti resta la morte, per bomba atomica o altro. La banalità del male.

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  7. Giorgio Linguaglossa

    Caro Fabrizio,
    Con il Covid19 e la guerra in Ucraina noi viviamo una condizione di smobilitazione degli assoluti, come accade nell’«ontologia della guerra» di Lévinas, laddove questa si propone di rendere «irrilevanti» le categorie della morale mediante il richiamo alla disillusione operata dalla guerra, al ?ne di consentire la più profonda e radicale disambiguazione degli interessi degli uomini proprio della ratio dell’Homo sapiens.
    Con la distanziazione sociale e la privatizzazione sociale viviamo in uno stato di disambiguazione prossimo allo stato vegetativo. Il controllo della coscienza è stato interrotto, e così gli affetti familiari e interpersonali. Lo «stato d’eccezione» profetizzato da Agamben è diventato, paradossalmente, uno stato di necessità, una condizione normale di vita. Viviamo nello stato di disambiguazione che ci ha rivelato il virus e in uno stato di compromissione sociale che ci ha rivelato la guerra in Ucraina, e ci scopriamo totalmente irretiti nella falsa coscienza, nella «zona grigia» dell’esistenza del Dasein e del linguaggio.
    Anche in altre epoche storiche il virus della peste ha determinato uno sconvolgimento delle relazioni sociali e un distanziamento sociale degli individui. Ma, da solo, a mio avviso, il virus e la guerra non producono Evento. Evento è invece la ripercussione nell’economia del virus e della guerra, la stagnazione e la conseguente depressione economica con conseguente disoccupazione per decine di milioni e, forse, centinaia di milioni di persone nel mondo.
    Voglio dire che l’Evento virus Covid19 e l’Evento guerra hanno prodotto spavento di massa e un isolazionismo di massa. Ma, appena il virus diminuirà la sua visibilità, riapparirà ben visibile il conformismo di massa in un assetto sociale indebolito dalla crisi economica e impoverito. La disambiguazione delle coscienze verrà alla luce. Lo spavento di massa si tramuterà in rabbia sociale e, di qui il passo ad un totalitarismo di un cialtrone che reclama «pieni poteri» sarà breve.
    Il Covid19 è, paradossalmente, un Evento che non è un Evento. La guerra è un Evento che è un evento. Mi spiego: per essere visibile un Evento non deve essere visibile, ma invisibile. Quando scoppia, l’Evento diventa visibile, ma già da tempo erano in essere le condizioni storiche e ideologiche perché l’Evento si verificasse, ma gli uomini non avevano fatto caso alle tracce dell’evento prossimo venturo che si stava preparando.
    Quando il Covid19 e la guerra avranno trovato soluzione, gli uomini continueranno a vivere come prima, peggio di prima. I ricchi continueranno ad arricchirsi e i poveri ad impoverirsi. Il problema è il modello di sviluppo del capitalismo. È quel modello che ha favorito l’insorgenza del virus e della pandemia e della guerra in Ucraina che occorrerà modificare. E il primo passo da fare è che i ricchi paghino più dei poveri, questo mi sembra ovvio. Mi sembra ovvio che occorrerà che le forze democratiche rivendichino la necessità di una tassa sulla ricchezza per riequilibrare le diseguaglianze introdotte dalla crisi economica.
    Io non penso all’evento come ad uno «stato meditativo», questo significherebbe privatizzare e soggettivizzare la nozione di Evento. L’evento è ben di più di una questione del soggetto, è una questione epocale che però gli uomini del presente non vedono, non riescono a scorgere dietro e in mezzo alla nebbia.
    No (lombradelleparole.wordpress.com)i abbiamo fatto il nome di una grande poetessa, Maria Rosaria Madonna (1942-2002), che ha presagito con le sue poesie la «perturbazione», l’Evento che si stava avvicinando. Nelle sue poesie si percepisce, oggi più di ieri, l’approssimarsi di un qualcosa di oscuro che si sta abbattendo sugli uomini. Ma Madonna è stata una Cassandra, ed è rimasta inascoltata.
    (Giorgio Linguaglossa)

    Poesia di Maria Rosaria Madonna (1942-2002) Stige Tutte le poesie, Progetto Cultura, 2002 pp. 150 € 12

    da Antologia Come è finita la guerra di Troia non ricordo, Progetto Cultura, Roma, 2017 pp.332 € 18.00

    Sono arrivati i barbari

    «Sono arrivati i barbari, Imperatore! – dice un messaggero
    che è giunto da luoghi lontani – sono già
    alle porte della città!».
    «Sono arrivati i barbari!», gridano i cittadini nell’agorà.
    «Sono arrivati, hanno lunghe barbe e spade acuminate
    e sono moltitudini», dicono preoccupati i cittadini nel Foro.
    «Nessuno li potrà fermare, né il timore degli dèi
    né l’orgoglio del dio dei cristiani, che del resto
    essi sconoscono…».
    E che farà adesso l’Imperatore che i barbari sono alle porte?
    Che farà il gran sacerdote di Osiride?
    Che faranno i senatori che discutono in Senato
    con la bianca tunica e le dande di porpora?
    Che cosa chiedono i cittadini di Costantinopoli?
    Chiedono salvezza?
    Lo imploreranno di stipulare patti con i barbari?
    «Quanto oro c’è nelle casse?»
    chiede l’Imperatore al funzionario dell’erario
    «E qual è la richiesta dei barbari?».
    «Quanto grano c’è nelle giare?»
    chiede l’Imperatore al funzionario annonario
    «E qual è la richiesta dei barbari?».
    «Ma i barbari non avanzano richieste, non formulano pretese»
    risponde l’araldo con le insegne inastate.
    «E che cosa vogliono da noi questi barbari?»,
    si chiedono meravigliati i senatori.
    «Chiedono che si aprano le porte della città
    senza opporre resistenza»
    risponde l’araldo con le insegne inastate.
    «Davvero, tutto qui? – si chiedono stupiti i senatori –
    e non ci sarà spargimento di sangue? Rispetteranno le nostre leggi?
    Che vengano allora questi barbari, che vengano…
    Forse è questa la soluzione che attendevamo.
    Forse è questa».

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  8. Giorgio Linguaglossa

    A fine 1991 Maria Rosaria Madonna (Palermo, 1942, Parigi, 2002) mi spedì il dattiloscritto contenente le poesie che sarebbero apparse l’anno seguente, il 1992, con il titolo Stige con la sigla editoriale Scettro del Re. Con Madonna intrattenni dei rapporti epistolari per via della sua collaborazione, se pur saltuaria, al quadrimestrale di letteratura Poiesis che avevo nel frattempo messo in piedi. Fu così che presentai Stige ad Amelia Rosselli che ne firmò la prefazione. Era una donna di straordinaria cultura, sapeva di teologia e di marxismo. Solitaria, non mi accennò mai nulla della sua vita privata, non aveva figli e non era mai stata sposata. Sempre scontenta delle proprie poesie, Madonna sottoporrà quelle a suo avviso non riuscite ad una meticolosa riscrittura e cancellazione in vista di una pubblicazione che comprendesse anche la non vasta sezione degli inediti. La prematura scomparsa della poetessa nel 2002 determinò un rinvio della pubblicazione in attesa di una idonea collocazione editoriale. È quindi con dodici anni di ritardo rispetto ai tempi preventivati che trovano adesso la luce alcune poesie di uno dei poeti di maggior talento del tardo Novecento. Alcune sue poesie inedite sono apparse nella Antologia di poesia a cura di Giorgio Linguaglossa Come è finita la guerra di Troia non ricordo (2016) e, nel 2018, sempre con Progetto Cultura, Roma, esce Stige, Tutte le poesie (1990-2002)

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  9. fabrizio centofanti Autore articolo

    Grazie, caro Giorgio. Si passa, in effetti, da un’ontologia della guerra a un’ontologia della pace solo riscoprendo l’umanità dell’altro: lo straniero, il povero, corrono il rischio di venire sempre stritolati dagli ingranaggi della ricchezza e del potere.
    Oggi, per giustificare l’ingiustificabile, sono arrivati a distinguere tra stato d’eccezione e stato d’emergenza, dimenticando che un sistema non può autosovvertirsi per legge. Mancano basi democratiche, la politica è una facciata che nasconde altri meccanismi.
    Il problema è che, come ha scritto Levi nella sua seconda fase, chi fa il male non è un mostro, è uno con la stessa faccia degli altri. Ecco la banalità del male.
    Grazie per la segnalazione della poetessa.

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  10. Giorgio Linguaglossa

    caro Fabrizio,

    Scrivevo nel 2020 su un quadro della Colasson :
    [Marie Laure Colasson, Struttura dissipativa, acrilico 19×28,50, 2020]

    «L’accadere della verità dell’opera d’arte è nient’altro che l’evento del suo accadere. L’accadimento è esso stesso verità, non come adeguazione e conformità di parola e cosa, ma come indice della difformità permanente che si insinua tra la parola e la cosa. l’arte come accadere della verità significa preannuncio dell’aprirsi di orizzonti storico-destinali.
    L’arte è allora quell’evento inaugurale in cui si istituiscono gli orizzonti storico-destinali dell’esperienza delle singole umanità storiche.
    Le opere d’arte sono origine di esperienze di shock tali da sovvertire l’ordine costituito dei significati consolidati dalla vita di relazione. L’ovvietà del mondo diventa non-ovvietà. Nuove forme storico-sociali di vita sono di solito introdotte da opere d’arte che le hanno preannunciate. Le opere d’arte dell’ipermoderno si configurano quindi come produzione di significati in condizioni di spaesamento permanente, di sfondamento rispetto a sistemi stabiliti dei significati ossidati. Le opere d’arte oggi hanno senso soltanto se «aprono», se preannunciano nuove mondità, nuovi possibili modi di vita e forme di esistenza, altrimenti deperiscono a cosità.»

    Oggi ho corretto quel mio concetto di «apertura»:
    penso invece che le opere d’arte (oggi preferisco parlare di poiesis) oggi hanno senso soltanto se «chiudono», se preannunciano la «chiusura» delle mondità, se «chiudono» i modi di vita e le forme di esistenza del presente e del passato, altrimenti deperiscono a cosità.

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  11. gino rago

    Caro Fabrizio,
    per questa tuo intenso commento:
    “Grazie Gino.
    È importante capire che il pensiero nasce sempre dal contrasto. L’omologazione contemporanea, dunque, non fa altro che uccidere il pensiero.”,
    mi sono “messo in moto” e ho ricordato che il mio amico Monsignor Francesco Savino,vice segretario CEI della Italia meridionale, tempo addietro, e in tempo di Quaresima, ha ricordato la stringente domanda di Tomáš Halík:
    «Dov’è la Galilea di oggi…?»,
    la Galilea che vale per i credenti e i non credenti.
    «Sono convinto che la Galilea di oggi[…] sia il mondo dei cercatori», prova a rispondere Tomáš Halík. I «cercatori», cioè, a mio parere, che poi sento affine al tuo, tutti coloro che mettono in moto il pensiero, mettendosi essi stessi in movimento, nonostante lo spavento, lo «spavento» secondo l’accezione di Todorov, lo spavento che può congelare il pensiero, ma anche il pensiero che non si congela, nonostante lo spavento (Primo Levi e Se questo è un uomo e La tregua, ad esempio). Cercatore, come il vero poeta, e non come chi…” scrive versi”. Poeta come uomo che non abita solo gli spazi e i luoghi che la natura disegna, ma come abitatore di quegli spazi ideali che alla fine dei conti sono le parole, le parole abitate dal poeta in un perimetro linguistico che solitamente chiamo “cerchio del dire”. L’unica patria linguistica in cui si stabilisce la differenza fra “Parola” e “chiacchiera”.
    E’ proprio nel “cerchio del dire” che le cose prendono le parole, si fanno incontro al poeta, si lasciano da lui comprendono e si “raccontano”. Restando nel mio cerchio del dire ho concepito l’intervista a Giorgio Linguaglossa, e nel mio perimetro linguistico di parole abitate ho messo in moto il pensiero. Ricca di spunti e di motivi di meditazioni “attive” è questa pagina di Lo Spirito e la poesia per i commenti dello stesso Linguaglossa e per l’acutezza quieta delle tue risposte, caro Fabrizio.
    (Gino Rago)

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  12. Giorgio Linguaglossa

    caro fabrizio,
    il concetto di «chisura» che io impiego non equivale, almeno nelle mie intenzioni, a «chiusura» rispetto al mondo ma è da intendere come diversificazione rispetto alla «apertura di mondi» di cui ha scritto Heidegger. Chiusura in quanto atto che precede una nuova apertura. Chiusura di un linguaggio è operazione molto problematica e complessa.

    con le parole di Marie Laure Colasson postate ieri sull’Ombra:
    milaure colasson
    7 novembre 2022 alle 19:38

    La poesia è un abitare il linguaggio che non c’è. In questo paradosso, in questa impossibilità sta la verità (se di verità si può parlare)

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