La parola ai poeti. Maurizio Evangelista

Lo sguardo che la sensibilità alla scrittura ci offre è una possibilità reale di comunicazione. Si è soli forse solo nella condizione fisica del lavoro da scrivania (o in qualsiasi luogo – spazio – tempo ci si ritrovi a fidarsi della parola) perché un attimo dopo il proprio mondo è popolato di volti e voci e soprattutto di vite, portate nella poesia insieme alla propria, in uno scambio continuo di personalità e avvenimenti. 

Della parola ho imparato a fidarmi costruendo, giorno per giorno, la mia storia. In ogni lettura, fin da ragazzo, ricercavo uno spazio che fosse anche mio, diventando, talvolta, il coprotagonista o semplicemente l’osservatore in un angolo, quello che si delinea appena. Entrare così, come un debuttante in uno spettacolo già scritto, era il mio escamotage quotidiano per sentirmi addosso ogni singola presenza. Da che ho memoria è questa la mia attitudine alla scrittura: la certezza che nel mio lavoro di solitudine io stia operando in realtà in compagnia.  Comprendere la poesia era allora uno strumento di fuga, trovare nella vita di qualcun altro la mia, appropriandomene e a volte interpretarla, come farebbe un attore in teatro. Perché non sono mai riuscito, nel tempo, a sezionare il verso da un dialogo recitato e un monologo davanti a un foglio di carta. La poesia è prima di tutto un contatto, fisico e spirituale, una scoperta continua di condivisione e diversità con tutto quello che ci circonda; e sarebbe impossibile per me, come autore, essere il solo e unico interprete della parola che penso, vivo e scrivo.

La poesia è al centro delle cose del mondo, è la vita che si presenta in ogni istante, come un’ombra, anche quando ci sembra assente e silenziosa, in assenza di luce; anche quando ci tramortisce e ci relega a un ruolo di comparsa, senza la possibilità di azioni concrete sull’andamento degli eventi. È uno stato a cui difficilmente ci si può sottrarre, una vocazione accettata senza rimpianto.  Perché il poeta infine è la persona meno sola al mondo quando, nei suoi versi, è capace di restituire la presenza all’assenza, il viaggio della scoperta alla permanenza in un posto, il canto alla tristezza implacabile. 

STANZA 209

alcuni hotel in centro hanno insegne enormi
li guardi da lontano e sei dentro
e prima che tu te ne accorga indossi i vestiti di un altro
ed hai la sua stessa taglia di scarpe

e fai tutte queste cose che stai già facendo e ti fai altissimo
per assomigliare agli alberi
che crescono come i palazzi
che perdono i calcinacci
come seccano le foglie.

Mr.me (Arcipelago Itaca, 2022)

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