La terza gabbia è per te

di Kika Bohr

“Il tema è complesso…” come ama ripetere stamattina la giornalista alla radio. A volte le cose che fai ti vengono immediatamente e con una certa soddisfazione puoi dire a te stessa “buona la prima!”, ma altre no, solo una lunga stratificazione di azioni a zig zag ti portano a un risultato. Qualche volta anche inaspettato.

“La terza gabbia è per te” si è andata costruendo e modificando negli anni.

Come per la gran parte delle mie opere tutto è cominciato con un ritrovamento:

In corso Sempione, a Milano, sicuramente qualcuno aveva a che fare con l’India perché passeggiando di mattina presto col mio cane avevo già trovato una splendida valigia in cuoio dalle forme originali e altri oggetti di probabile provenienza sud-asiatica. Quella mattina furono due scatole di metallo lucido con coperchio, ornate da rilievi come fatti da una pressa. L’interno poi era bizzarro perché, con le scritte dell’una e con l’immagine laccata di un minuscolo scooter Vespa nell’altra, indicava che la latta di questi imballaggi era stata recuperata da taniche dell’olio per motori. Le scatole erano pulitissime e quindi me le portai a casa e le usai come contenitori.

Alcuni anni dopo, le trovai utili per rappresentare gli scatoloni di cartone in cui mia figlia minore di cinque anni soleva nascondersi, inventare giochi, creare mondi. Modellai la figura della piccola col filo di ferro e la ricoprii – alla maniera di una mummia- con strisce di tela di cotone trattata con gesso e colla (come per l’imprimitura delle tele da dipingere). Le scatole erano due e quindi feci due figure di bambina, una in cui è più costretta, nella scatola più piccola.
Quando esposi per la prima volta queste due figure bianche nella loro scatola argentea, col coperchio vicino, in una mostra intitolata “Feticci”, presso la casa di amici, alcune persone nel vederle provarono un senso di claustrofobia, ad altre suscitavano invece un’idea di protezione, come di utero materno. Le due figurine, le avevo chiamate “Le Segaline” per il loro aspetto segaligno, magrino ma sano, e naturalmente come riferimento al biancore delle sculture di George Segal.

La figlia era cresciuta e giocava ormai naturalmente sempre più fuori casa, con gli amici, mentre le sculturine dormivano tranquillamente chiuse nelle loro scatole.
Intanto molti oggetti erano stati trovati e raccolti. Fra di essi tre contenitori per bottiglie a gabbia, in ferro zincato. Probabilmente dell’inizio Novecento. Li tenevo in cantina e ogni volta che andavo a prendere il vino, mi attiravano. Il loro giorno di gloria è arrivato quando sono stata invitata ad una mostra sui diritti umani a Rovereto, alla Campana dei Caduti. Per l’occasione le due bambine con le loro scatole indiane sono state messe ognuna in una gabbia rovesciata, dopo aver tolto il piano di rete che separava le sei bottiglie fra di loro.


Nella terza di queste gabbie non c’è niente se non due scalette in metallo che non portano da nessuna parte (ricordate le Carceri di Piranesi?). Ero molto contenta di poter lasciare questo spazio a disposizione di chi volesse….

Anche qui come prima e come sempre ci si pone l’eterna domanda sulla privazione della libertà, come costrizione o protezione e si ritorna ovviamente alla frase della giornalista di stamattina “Il tema è complesso…” Nel testo del 2009 che accompagnava l’opera concludevo così: “anche le gabbie sono ambigue. Protezione o contenzione? La terza gabbia è per te, pensaci”.

Un pensiero su “La terza gabbia è per te

  1. sgolisch

    La terza gabbia : da aver presente sempre – per volare via prima!
    Molto belle questa istallazione!!

    Rispondi

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