Intervista a Manuel Lantignotti


di Luca Pizzolitto
1) Questa, Manuel, è la tua raccolta di esordio. Tu hai 28 anni. E nella vita, leggendo il tuo curriculum, ti dedichi anche ad altre forme di espressione artistica. Perché (e quando) hai sentito la necessità di investire sulla poesia e scegliere di pubblicare una raccolta?
Il mio approccio al teatro, alla musica, al cinema e alla poesia è sempre lo stesso. L’arte ha qualcosa che la vita non può dare, e cioè l’esperienza amplificata. Con questa espressione intendo indicare il potere che ha una storia, un componimento o l’interpretazione di un ruolo di proiettarti al di fuori della tua singola esistenza che, per quanto piena di esperienze, sarà sempre limitata. In questo modo tu puoi essere un ragazzo di periferia, il capotreno dell’Orient Express, un astronauta, credere in una religione che non ti appartiene, camminare tra gli edifici dell’Atene ellenistica e altre infinite possibilità. Con la poesia vi è uno step in più. Nello spazio di poche righe puoi proiettare il lettore direttamente nell’anima dell’esperienza universale che vuoi far rivivere. La poesia è l’unica forma d’arte che rappresenti nella sua essenza il ricordo, tema centrale di tutta la raccolta e l’unica che in poche righe riesce a intrappolare piccoli frammenti di senso, che una vita intera non riesce a cogliere. Ho sempre amato leggere e scrivere poesia, raggiunta una certa consapevolezza sia tematica che stilistica, ho deciso di mettermi all’opera e creare qualcosa che potesse avvicinarsi a quello che cerco dall’arte.

2) “Vista Parco” è un lavoro intenso, ben strutturato, per essere un esordio. Ci hai lavorato su tanto? E da cosa nasce questa raccolta?
Ci ho lavorato moltissimo; alcune poesie risalgono al 2015. Grazie allo studio, alla pratica e alla lettura di altri autori sono riuscito ad ampliare la raccolta e a migliorare moltissimo come poeta. È stato un lavoro di cesellamento e di selezione instancabile.
Riprendendo il discorso sul ricordo, Vista Parco nasce da una riflessione approfondita sul tema. Il titolo fa riferimento alla casa dove ho vissuto e vivo attualmente, affacciata su un enorme parco, appunto, che diventa simbolo e incarnazione del ricordo, specialmente legato all’infanzia.
Ricordare, nella raccolta, è sia un dono che una condanna per l’uomo, al punto che la vita passa da una perenne nostalgia di qualcosa che non c’è più, all’attesa del futuro, non più come porto a cui si vuole arrivare pieni di speranza, ma l’ennesimo modo per creare nuove memorie. Così il presente si assottiglia sempre più, fino a sparire.
Solo ciò che è filtrato dal ricordo è vero e più vero del vero, perché può essere interpretato e aggiustato a propria discrezione. Una felicità artefatta, ma l’unica possibile.
3) Com’è stato il tuo approccio, da esordiente, con il “mondo” che si occupa della poesia (siti di recensioni, blog che pubblicano inediti, etc..) e quale rapporto può esserci, secondo te, tra il mondo della rete e quello della poesia stessa?
Sono stato molto fortunato. L’accoglienza che ho ricevuto fin dagli inizi è stata migliore di quanto potessi sperare. Penso che la rete non sia altro che un potente mezzo che aiuta a diffondere la poesia a più persone possibili.
Molti fanno distinzione tra poesia sul web e poesia pubblicata su carta. La differenza non si trova nel mezzo che divulga, a mio parere, ma nella qualità del lavoro. Ho visto lavori terribili e stupendi in entrambi i casi. Il web è solo un mezzo di condivisione, un modo potente per creare legami tra poeti di tutta Italia, che altrimenti si sarebbero conosciuti solo leggendosi.
Il potenziale della rete come promotrice di eventi e diffusione non è ancora stato sfruttato al massimo delle sue possibilità, forse per timore di non essere presi sul serio.
4) Tre poeti (e relative opere) imprescindibili, secondo te, per chi si avvicina, ama o scrive poesia.
Eugenio Montale – Ossi di Seppia
Giuseppe Ungaretti – Il Porto Sepolto
Walt Whitman – Leaves of Grass

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