L’attesa, di Raffaela Fazio


L’attesa

Riflessioni e poesie

 

Frutto dell’attesa è il senso: solo nel tempo il senso può crescere, senza la pretesa di un definitivo punto di arrivo.

 

Primavera

 

Come un campo spietrato

è questo silenzio

in cui dissiparmi

senza alcuno spreco

e spiare appena

come un filo d’erba

il farsi lento di un segno

che diventerà un Dire

se troverà infine

un po’ di tempo per me.

(da ”A garante il mistero”)

 

***

 

Frutto dell’attesa è anche l’amore, che, diverso dall’infatuazione, ha bisogno di tempo.

 

Amore che ti ergi spavaldo

senza porte e finestre.

In te non credo

slabbrato scoglio dei venti

dei rostri.

Io preferisco anche oggi

il timore buono

la dolce ispezione

di stanze annidate

sotto una gronda.

Io preferisco ospitare

l’attesa

curare lo spago

che quasi si arrende

la finestra mal chiusa.

(da ”Per ogni cosa incompiuta”)

 

***

 

Non mi interessa il tempo

della caccia

depongo le armi le parole

ibride propiziatorie

stacco le reti i lacci

cancello i segni sulla corteccia.

E mendicante

disimparo l’arte a me più cara.

Riavvolgo i passi.

Sei te che aspetto

mio reduce

istigatore

che non corteggi non ti ravvedi

nulla rinfacci

ma chiedi

in segno di un possesso

diverso

che per intero smembri la bisaccia

se a mani rudi e rosse

nel tuo vuoto

il mio vuoto

riverso.

(da ”L’arte di cadere”)

 

***

 

Attendere significa permettere al destino di riallacciare i fili della sua trama, di riprendere il discorso, di cambiarlo persino.

 

(per il raccontastorie)

 

Niente fugge.

Io sono ancora qua

tra i tuoi fusi

azzurro fabulatore.

Riprendi pure

il discorso di ieri.

Io sono ancora qua

nel mobile sipario

mite come un gregge

tosato a metà.

(da ”A un filo più lento”)

 

***

 

Ma l’attesa comporta un rischio: quello di proiettarsi nel futuro, svuotando pian piano il presente, sottraendo ad esso attenzione e cura.

 

A metà del vicolo ci siamo fermati.

E niente è accaduto.

Da quando ti ho visto negli occhi

due lapilli

più nulla succede.

Solo scorribande di stolti

di armenti e drappelli.

Ma io

sono da allora

sotto l’erba del tuo respiro

dentro la cinta porosa

la malandrina attesa

di una città sepolta.

(da ”Per ogni cosa incompiuta”)

 

***

 

Si leva il giorno:

si fa accadimento.

Io ti aspetto

come il muro che ricorda il sole

e inganna con l’ombra

il suo spostamento.

(da ”A un filo più lento”)

 

***

 

Se riesce a superare la tentazione di travalicare l’attimo vissuto nel presente, l’attesa diventa tensione costruttiva, e l’assenza si fa richiamo, invito fecondo.

 

Che gioia saperti

anche dove io non sono

né sono mai stata.

Tu che sei stato

battito sul mio cuscino

e immediato confine

del corpo.

Unico valico ad oriente.

Che gioia saperti presente

anche quando io non sono.

Ambasciatore

della mia assenza

tra ogni raggio

essenza

suono di corno.

Che gioia sapermi in viaggio

verso il tuo ritorno.

(da ”Per ogni cosa incompiuta”)

 

***

 

Consigli per quando mi pensi

 

Conserva le mie anche

a temperatura ambiente

il corpo nel verso giusto

(con la testa

rivolta al presente)

ma le labbra vanno riposte

un poco dischiuse

nel buio appena torchiato

nell’attesa

nel mosto.

(da ”L’arte di cadere”)

 

***

 

Attendere significa allora aprirsi alla sorpresa, perché il destino assume forme imprevedibili.

 

L’altro capo

 

Da bambina spiavo le stelle.

Dietro a quelle intuivo

il maturarsi indomito di un’evidenza

in fondo alla più lunga attesa.

E anche adesso che ti guardo

aspetto la forma che a sorpresa

prenderà il destino

che sotto al battere ferrato degli zoccoli

preme indisturbato

come si prepara

a uscire dall’ignoto

un giorno

una carota.

(da ”L’arte di cadere”)

 

***

 

L’attesa è in parte desiderio di affidarsi al Mistero.

 

Un giorno forse

altra

sarà la corsa.

Non con lo sguardo

ti cercherò

traguardo.

Al pensiero allora dirò:

Riposa.

E aspetterò

che nella notte

la mia staffetta

arrivi

e sia infine l’amore

a prendere la torcia

per riportarla a te

mio vento e mio braciere

nel grembo del mistero.

(da ”Per ogni cosa incompiuta”)

 

***

 

Arriva su tacchi

alti come amori

il Giorno

con nacchere

tra i boccoli

e negli occhi bacche di sole.

Porta sciami di piaceri

coriandoli e parole.

A volte anche dolori

in cofanetti azzurri.

Mi piace.

Mi distrae.

Gli chiedo cose rare

e lui sotto la cappa

pare che accolga il mondo.

Ma in fondo

anche lui è orfano

straniero e mendicante.

Lui anche ha fame e sete

di te, fede costante.

Ti aspetta e anch’io ti aspetto.

Tu sola

grande

intatta

che non vai mai di fretta

e hai un dito sulle labbra.

(da ”Per ogni cosa incompiuta”)

 

***

 

Sei venuta dall’alto.

Mille voci hai percorso

per trovare quel chicco.

Solo allora ho sentito

che ti avevo aspettato.

Il tuo becco nel becco.

(da ”Per ogni cosa incompiuta”)

 

***

 

…E un modo di fidarsi della vita, secondo i tempi che le sono propri.

 

Se sappiamo aspettare

le giuste intemperie

ci arrotonda il tempo

le cime

per farci simili alle prime

ombre che ci hanno abitato

e piegare ogni versante

al ruscellare degli opposti

verso un unico assenso

nella prestabilita

confluenza

di ogni imprevisto.

(da ”L’arte di cadere”)

 

***

 

L’attesa può essere anche attesa di Dio, nostalgia nata proprio dalla percezione della sua assenza.

 

Lo so, il giorno ci divide.

E non ho scuse.

È ormai da tempo

che non faccio caso

al moto di presenze

confuse nel vino della vita.

Ma quando ieri sera ho messo

la testa sul cuscino

ho sentito finalmente quanto

sia poco naturale

non aver spiato col cuore in fiamme

fino a tarda notte

tutta la luce che si perde

per il tuo non rincasare.

(da ”L’arte di cadere”)

 

***

 

O forse è Dio stesso ad attendere…

 

Credo in un Dio

che piega la carta con mani pazienti.

La tiene sul palmo e l’osserva.

Poi si sporge sul mondo

aspettando

che il vento sia buono

per lanciare

tra il verde e l’azzurro

il progetto di un Uomo.

(da ”A un filo più lento”)

 

***

 

VII.

 

C’è un fuoco da campo

– ora lo vedo –

che non mi chiede di rimanergli accanto.

Ma a volte mi aspetta

e contro la tenda proietta il suo dolce divagare.

A volte è distante a volte è la notte

a volte non so

sono assente.

La cosa più strana è tornare

sedermi parlargli se è spento

come si fa ad un bambino

che dorme supino dentro il soffio più corto

di un corpo affollato d’anni.

E restando

alimentare il perenne

trasmutare del senso

se sono io a bruciare

e lui a farsi accampamento.

(da ”L’arte di cadere”)

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