Massimiliano DAMAGGIO, Edifici pericolanti. Nota di lettura di Giovanni Nuscis

Massimiliano DAMAGGIO

Edifici pericolanti

Dot.com Press (2017)

postfazione di Fabio Franzin

e una nota di lettura di Nino Iacovella

 

Già dall’architettura si presenta come un lavoro originale, fuori dagli schemi, questo libro di Massimiliano Damaggio: dalla scelta del formato, solo digitale, alla sua struttura; con le poesie della prima parte del libro suddivise in sei sezioni con lo stesso titolo delle sei prose contenute nella seconda parte dell’opera; eloquenti i titoli: Sell in, Sell out, Otto tentativi di salvezza, Ultime dall’iperghetto, Sarà la bellezza la nostra vendetta, Cinque simulazioni, …E una risposta. Ogni sezione è intervallata da una pubblicità, con effetto tragicomico.

Il titolo Edifici pericolanti e l’esergo di Vinicio de Moraes (Questo cercare l’equilibrio sul filo del coltello …) preannunciano la tensione che pervade dall’inizio alla fine quest’opera. Pericolante, secondo il dizionario Treccani, è ciò “che è in pericolo, che minaccia di crollare, di rovinare”. E fin dai primi versi troviamo conferma del sentimento di precarietà generato da una filosofia economica spietatamente selettiva della specie che ha segnato il destino, con poche eccezioni, della popolazione globale, finendo per ammorbarne le relazioni, lo slancio vitale e la fiducia tra le persone e nel futuro.  Di rado la poesia azzarda a tradurre in versi un fenomeno epocale così complesso e impoetico come il capitalismo, il neoliberismo, la metastasi del tessuto sociale ed economico che ne è derivata; come avviene a seguito di una guerra o di altro evento devastante. Leggiamo dunque i primi cinque versi della prima poesia: “Transitiamo nella zona industriale / su questa terra defunta riposano / nomi di cose in disuso / gonfi di piogge oblique fioriscono / gli uomini dismessi”. Versi densi di significati, industrie che hanno cessato traumaticamente le attività per la crisi economica globale, comprese dunque l’Italia, e la Grecia dove l’autore vive: proprio quest’ultima, falcidiata dal rigore spietato delle gerarchie europee; una “terra, defunta”, che ha seppellito cose e persino i nomi delle cose; e su questa “terra “defunta” fiorisce così un’umanità che non è più tale, minata nella dignità, stravolta nei valori. E proseguono i versi: “corpi scivolati nell’ingorgo / di acque inquinate defluiscono / in esistenze decimate / un nome dopo l’altro, dentro i tabulati, fino all’estinzione”. Uomini dunque svuotati dell’anima, ridotti a corpi, a numeri; numeri dentro tabulati destinati a scomparire. E arriviamo ai versi di chiusura: “In questo modo precipita la notte / Un alito assente scivola fra i denti // Aspettiamo l’accredito sul conto corrente.” La notte a cui il poeta si riferisce è la notte di una civiltà che precipita, e con lei le vittime sacrificali di un sistema ormai disumano e insostenibile, per il solo vantaggio di poche lobby burattinaie e di una più ampia cerchia di beneficiari opportunisti e conniventi, freddi e impassibili nell’incrementare il proprio patrimonio personale sul sangue di milioni di disperati.

Il poeta entra dunque nella carne viva di un sentimento complesso ed epocale fatto di paure, fragilità, impotenza, disillusione, disperazione, senza mai disgiungere, però – e questo fa la differenza – gli stati d’animo dalle cause scatenanti, e dall’intera scena della tragedia, e dai protagonisti, dalle comparse, dagli accadimenti che si susseguono rapidi sullo sfondo della storia.

Questa prima poesia, da sola, esprime perfettamente il paradigma di un mondo in agonia; con sguardo lucido e sentire profondo e doloroso; e il poeta sta, inequivocabilmente, dalla parte dei più fragili, interprete sensibile ed empatico. Di questa anamnesi in versi troveremo i termini che, associati, danno il quadro sintomatico della patologia: uomini in affitto, risorse, manager, progressione, obbiettivo, dati di vendita, cifre, statistica, fatturato, prodotti sullo scaffale, carrelli…  E a un certo punto il poeta si interrompe, e come da un palco, di fronte al pubblico, allarga le braccia: “Io non posso tradurre tutto / questo pianto, tutto / in parole, non posso / tracciare il grafico esatto / della produzione di massa del dolore.”  

Il libro, pubblicato nel 2017, è attuale, e pur cambiando faccia e strategia, le istituzioni economiche, dietro a esse, nell’ombra, si gioca una spartizione di risorse pubbliche senza precedenti, giustificata dalla pandemia e dai tempi stretti della transizione energetica, e vedremo a breve chi dovrà pagare tutto questo.

Ma in questo libro i temi sono anche altri. Del far poesia, innanzitutto, e in particolare in questi tempi difficili, e della prossemica del poeta col mondo, del senso di esserci, anche come meri testimoni: “Certo, si scrive per la purezza / per questa cosa bianca fra due virgole / per questo toccare le grandi questioni / dell’origine e della morte: si deve / tentare di essere uomini e / ricamare di parole il fatto / di esseri bipedi // Decliniamo in segni cose e avvenimenti / ma quello che interessa è la sintassi / per dare un nome al mondo: /  il mondo altrimenti domani scompare // ed è breve la parentesi di carne / un passare di nomi e di cognomi / dove ogni grande questione coincide / con la data della nascita e quella della morte (…)” Vi è piena consapevolezza di quanto siano impotenti i versi, dell’impossibilità di piegarli per migliorare un’organizzazione sociale profondamente ingiusta e diseguale:  “Apro le mani, piene di dita inutili / che sanno solo scrivere / parole.”  Il poeta sa bene quale sia, anzi, quale auspicabilmente dovrebbe essere il suo compito in un mondo più umano, pacificato:

Siamo qui per la bellezza, ma

come rifugiati fra due porte

in attesa di un fuoco qualunque

che commuova il calendario

In questo venire e andare di corpi

non hai nemmeno il tempo di dargli un nome:

lanciano sul tavolo poche parole, si alzano

Siamo qui per la bellezza, ma

come pieni di linee scure

che potevano essere albero, nuvola: attendiamo

nell’apnea delle disattese

è tua la voce a filo d’acqua

che modula una fiamma

per chi, liquido, sta

Come ben scrive nella sua postfazione Fabio Franzin: “Massimiliano lo sa, sa che non sarà possibile né salvezza né redenzione, come sa che le sue parole non avranno il potere di modificare gli esiti di un progetto che è più vasto e tentacolare di ogni possibile idea di sovvertimento, di rivoluzione; allora è con l’aria rabbiosa emessa dal proprio fiato che ognuno di noi combatte la sua personale battaglia contro i mulini a vento (mossi anch’essi, guarda caso, dalla stessa aria che muove il nostro rancore, che penetra nei nostri sospiri), come sa, perché è lucido e pensante come le sue parole, che la sua poesia è il diario in cui l’uomo dismesso alla dignità certifica a noi la sua sconfitta di mendicante di una giustizia che non tintinnerà mai dentro il piattino posto accanto alla sua, e quindi nostra, sagoma accasciata”

Eppure questo grido in versi non è disperato, non è solo dolore rassegnato. Perché un messaggio di fede, pur disillusa, va sempre comunque scritto per chi vorrà leggerlo, estraendolo da una bottiglia affidata alle onde, per proteggerlo dalle burrasche: “Però tu di’ ai ragazzi di non smettere / di tentare di toccare il cielo / perché le favole / non sono verità / ma perlomeno / non è menzogna” E, al netto di tutto, “Sarà la bellezza / la nostra vendetta”.

Giovanni Nuscis

 

*

 

È molto il dolore, e io poco

apro la porta: vado a lavorare

il dolore con le mani

degli uomini molti

alla catena del carrello

che riemergono delusi

dal detrito quotidiano

masticando gli scontrini

e alla scatola di cartone

dove dormono gli involuti

in un cubo senza lessico

evapora il calore

un dito dopo l’altro

fino a quando il polso cede

e dal buco nell’asfalto

germoglia, tiepido, un rancore,

come la carezza energumena

che non sa dosare la forza

come il cane che per troppo amore

al bambino ha divorato il volto

 

*

 

Questo uomo sul fondo del letto

che a fatica riemerge, a fatica

afferra un pugno d’aria

è il tuo ritratto, nei ritratti infiniti

di ogni uomo sul fondo di ogni letto

È un dolore cordiale, una mezza allegria

regalare due gocce d’acqua

alle labbra spaccate, che sono state tue

che sono state d’altri

sotto questa luce

che non distingue le ombre dalle ombre

nello scambio di respiri dell’ultimo minuto

Adesso è molto tempo che tutto questo vuoto è tuo

questo luogo

disabitato da un morto, abbandonato da un vivo

 

*

Non è corretto

e non è poesia

raccogliere un dolore

per scrivere parole

Se stai piegata in due dentro la stanza

al primo piano della casa abbandonata

mentre urli al cane muto

che scappa, e cade per le scale, e si nasconde

Nel buio ascolta

il latrare del tuo male

che sfonda il tetto

 

*

Tutta la notte, tutti gli anni, tutto il tempo

finché compariranno archeologi perplessi

e sotto le pietre

tenteranno di decifrare

ossa, oggetti, appunti

che non avranno più il tuo nome

che saranno, ancora, come sempre

Atene.

 

*

 

Massimiliano Damaggio (1969). Nel 2011 pubblica Poesia come pietra, Ensemble, Roma. Nel 2017 pubblica Ceux qui prennet un café face à la mer, poesie tradotte da Olivier Favier, Alidade Editions, Francia.

Traduce poeti contemporanei dal greco moderno e dal brasiliano. È fra gli ideatori del blog “perìgeion”. Vive ad Atene.

 

 

 

 

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Informazioni su Giovanni Nuscis

Giovanni Nuscis è nato nel 1958 ad Ancona, dal 1973 vive a Sassari. Laureato in giurisprudenza, ha lavorato come direttore amministrativo presso il Ministero della Giustizia. Ha pubblicato i libri di poesia: Il tempo invisibile (Book Editore, Castelmaggiore, 2003)(Premio Nazionale di poesia “Alessandro Contini Bonacossi” ed. 2003, come opera prima); In terza persona (Manni, Lecce, 2006); La parola data (L’arcolaio di Gianfranco Fabbri, Forlì 2009) Transiti (Quaderni di Poiein a cura di Gianmario Lucini – Puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2010) Il grande tempo è ora (Arcipelago Itaca, 2021). Premio della giuria nel Premio Lord Byron Porto Venere Golfo dei poeti ed. 2022; 1° Premio al 63° Festival internazionale di letteratura “Sandomenichino”, ed. 2022; Menzione d’onore nel Premio Lorenzo Montano ed. 2022; segnalazione nel Premio Internazionale di poesia “Poesia Onesta”, ed. 2022; opera selezionata al Premio Internazionale di letteratura “Città di Como”, ed. 2022. Per la poesia inedita, 1° classificato al Premio David Maria Turoldo ed. 2005 organizzato dall’Associazione Poiein; per la sezione raccolta inedita, segnalazione al Premio Lorenzo Montano nell’edizione 2008 e menzione d’onore in quella del 2021. Hanno scritto sulla sua poesia, tra gli altri, Sebastiano Aglieco, Gisella Blanco, Fabrizio Centofanti, Anna Maria Curci, Massimiliano Damaggio, Rita Di Mattia, Gianfranco Fabbri, Narda Fattori, Antonio Fiori, Mauro Germani, Stefano Guglielmin, Gianmario Lucini, Gian Ruggero Manzoni, Massimo Onofri, Marco Scalabrino, Antonio Strinna, Roberto Rossi Testa, Salvatore Tola, Pasquale Vitagliano. Poesie, note di lettura e interventi critici, suoi o sul suo lavoro, sono stati pubblicati sulle riviste Il sarto di Ulm, l’immaginazione, La clessidra, Polimnia, Gemellae, sul quotidiano La Nuova Sardegna. In rete, su Atelier, Blanc de ta nuque, Compitu re vivi, In certi confini, Italia Libri, La dimora del tempo sospeso, La Ginestra, La poesia e lo spirito, Lingua Siciliana, Nazione Indiana, Neobar, Parole di Sicilia, Poetarum Silva, Poiein, Rainews24. Alla sua poesia ha dedicato un saggio monografico Gianmario Lucini: La parola e lo spessore (Quaderni di Poiein – Puntoacapo Editrice, Novi Ligure 2010) E’ inserito in diverse antologie poetiche tra le quali l’Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea n. 4 Sardegna (Raffaelli Editore, 2016) Fa parte dal 2008 della redazione del litblog collettivo“ La Poesia e lo spirito (www.lapoesiaelospirito.wordpress.com ). Ha un blog personale, Transito senza catene (www.giovanninuscis.wordpress.com ), dedicato alla alla letteratura e all’attualità.

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