Intervista a Francesco Tomada


Leggendoti, mi capita di pensare che l’autenticità della tua scrittura dipenda dal fatto che scrivi per necessità. La parola scritta
, tra le altre cose, può essere un desiderio di più intensa (o veritiera) comunicazione rispetto alla comunicazione che si riesce ad avere nel quotidiano con persone anche a noi vicine?


Scrivo per necessità, sì. Non mi cambia la vita, non mi porta guadagno, non sono fra i più bravi e non vinco premi e trofei: se da tanti anni continuo a scrivere è perché non posso farne a meno, e temo molto che possa arrivare un giorno in cui non avrò più nulla da dire, così come temo che non sarò in grado di riconoscerlo. Quindi sicuramente la parola scritta e la poesia in particolare – per come la concepisco io – nascono dal bisogno di costruire una forma di comunicazione non mediata, non del tutto controllata e per questo diversa rispetto alla normale quotidianità. Un taglio di luce differente che illumina angoli che altrimenti sarebbero rimasti nascosti, ecco. Diciamo che non nasce dal bisogno di dire cose che solitamente non si ha il coraggio di dire: mi pare di averlo questo coraggio, non ho paura delle verità scomode e delle conseguenze delle parole. Piuttosto il problema è a monte, è riuscire a cogliere aspetti, sentimenti o disagi che nella normalità non vengono a galla: la scrittura a volte permette questo, è un grimaldello da rivolgere per primi verso se stessi. Solo mettendosi a nudo si può avere diritto di parlare agli altri e forse degli altri.

Nella sfera della creatività, come del resto nella vita più in generale, non siamo in controllo di tutto. Perché è un bene non esserlo, secondo te?

Riguardo alla vita mi piacerebbe poterti rispondere di sì, che sarebbe bello essere sempre spontanei, ingenui, entusiasti, trasparenti, ma so bene che non è così. Pensa soltanto all’esperienza della genitorialità: io ho fatto il padre, mi sono sforzato per amore, ma ho dovuto controllare la mia impulsività e spesso, purtroppo, non ci sono riuscito. Ciò non toglie che ci sia bisogno di spontaneità e di immediatezza, siamo talmente ricoperti di sovrastrutture che le sovrastrutture stesse a volte diventano quello che siamo. Trovare un equilibrio non è facile, anche perché si tratta un po’ di una contraddizione in termini, nel senso che non puoi trovare un equilibrio su qualcosa che non controlli, non del tutto, almeno. Insomma, se per quanto riguarda la vita avessi una risposta, sarei un uomo più maturo e più sereno.Nella creatività, soprattutto per quanto riguarda la poesia, è invece sicuramente vero. Forse è il concetto stesso di scrittura poetica che vive in questo sfuggire alle coordinate prestabilite, nel trovare un punto di vista che l’autore stesso non sapeva di possedere in sé. Le opere d’arte migliori sono quelle che sfuggono all’autore, come se si fossero almeno in parte generate da sole, e in questo modo diventano qualcosa di più che splendide esibizioni di abilità o mirabili costruzioni razionali.

Poesia, narrativa, traduzione, insegnamento. Cosa passa di te in questi canali espressivi? E che peso hanno nella tua vita?

Sulla narrativa so dire poco o nulla, è un genere che ho affrontato troppo raramente e troppo di recente per poterti rispondere. Sono un gran lettore di narrativa, molto più che di poesia, la narrativa mi apre orizzonti dove mi posso perdere, spesso è il mio sguardo sul mondo dagli occhi di un altro. L’insegnamento è un mestiere che ho scelto e non me ne sono mai pentito, anche se negli ultimi anni si è incrostato di un carico burocratico che rischia di svilirne l’essenza, che è quella di raccontare e contemporaneamente ascoltare, accompagnare ma soprattutto incuriosire. Io insegno materie che amo (biologia, chimica) ma che rimangono uno strumento e non un fine: il fine appunto è quello di affiancare i ragazzi in un pezzetto di crescita, cercare di offrirgli quello che serve (che non sempre è quello che vogliono, come è ovvio), ricordandosi che sono anche loro che nello stesso momento accompagnano noi. Nella poesia spero che passi la parte più immediata di me, immediata del senso di priva di filtri e sovracostruzioni. Mi piacerebbe – ma questo è una speranza e non una presunzione – se anche chi legge si sentisse trascinato a fare lo stesso: io non sono certo un esempio, semplicemente porto il mio tentativo di essere uomo, magari a qualcuno potrà servire come vicinanza, sarebbe già molto.

Ti ho conosciuto come persona cordiale e generosa, e al tempo stesso schiva. Chi scrive, se non è di natura un estroverso (o un istrione), deve trovare un equilibrio tra la ricerca di un contatto con i suoi (possibili) lettori e la necessità di solitudine, di uno spazio lontano dal rumore esterno. Come vivi – se la vivi – questa duplice realtà?

Grazie delle tue parole, prima di tutto, come della stima e dell’affetto che ricambio. In quella che tu identifichi come “duplice realtà” io non vedo una contraddizione. C’è un momento per tutto, c’è il tempo della solitudine e quello della compagnia. La poesia credo che necessiti di solitudine nel momento della scrittura, e ancora prima in quello della ricerca e dell’ascolto: secondo me quello rimane un passaggio necessariamente individuale in quanto interiore. Poi invece arriva anche il tempo della condivisione, quella in cui accade che chi legge o ascolta faccia propria la scrittura, e che quindi la completi. Leggere o ascoltare poesia è importante quanto scriverla, è la seconda metà della scrittura, quando un testo non appartiene più all’autore ma a chi lo sente proprio. Poi è inutile negare che i complimenti facciano piacere e che nel proporre la propria scrittura ci sia anche una dose di narcisismo. Ma la soddisfazione più grande è quando qualcuno ruba un tuo testo e se lo porta via: affinché questo possa accadere c’è bisogno di una socialità vera. Sulla ricerca di (possibili) lettori intesa come marketing, invece, non dico nulla perché non ci capisco nulla.

Nel campo della scrittura, ti stai occupando di qualcosa in particolare in questo momento? Hai progetti futuri?

Sta per essere pubblicata quella che per me è stata un’esperienza del tutto nuova e una sfida molto stimolante, e cioè un romanzo, “Il figlio della lupa”, che abbiamo scritto a quattro mani io e un carissimo amico, Anton Špacapan Von?ina. Io non possiedo il rigore e la disciplina necessari per scrivere in prosa, Anton nemmeno: eppure mi pare che si sia creata un’alchimia strana per cui quello che si è venuto via via a costruire ha assunto una sua forma definita. Si tratta di una sorta di fiaba politica: so che detto così significa poco o nulla, ma in effetti la vicenda vive su un elemento del tutto fantastico che abbiamo cercato di rendere verosimile all’interno di un ben definito momento storico, e cioè l’occupazione fascista della Slovenia. Riuscire a lavorare con un’altra persona (per me che sono solitario di carattere), a costruire e seguire una vicenda organica, a trattare un tema spiccatamente politico (cosa che in poesia non mi riesce quasi mai di fare) sono state per me avventure nuove e molto istruttive. Il fatto che esca per Bottega Errante Edizioni, una casa editrice che presenta in catalogo quasi tutti i migliori autori balcanici – da Andri? a Jergovi? – di cui io sono appassionato, ammetto che mi rende estremamente contento. Progetti futuri al momento non ne ho; anzi prevedo un periodo di necessario silenzio.

Qual è stata per te la sfida maggiore negli ultimi anni? E quale la maggiore soddisfazione?

Alla prima parte della domanda ho appena risposto: dal punto di vista della scrittura sicuramente il romanzo è stata la sfida più grande, quella che da solo non sarei mai stato in grado di affrontare. La maggiore soddisfazione è sempre quando la presentazione di un libro si trasforma da lettura a incontro, cioè quando la propria poesia diventa il mezzo che permette di avvicinare la profondità delle persone e farsi avvicinare da loro. Negli ultimi tempi mi è accaduto in diverse occasioni: sarà che questi tempi difficili hanno fatto sì che le persone abbiano bisogno di un contatto vero, ma mi sembra che ci sia bisogno di poesia intesa in questo senso, cioè non come esibizione di bravura e abilità, ma come strumento di condivisione. Quando accade di essere parte di ciò, è una fortuna che mi conforta e di cui sono riconoscente, un piccolo grande miracolo che si rinnova.

***

Cinque poesie:

Senza titolo

 

Quanta ostinazione nei cipressi

altre piante perdono le foglie

loro invece no, che non sia mai

 

mio nonno ripeteva di continuo:

nella vita bisogna stare sempre

con la schiena diritta

 

dicono che gli alberi sappiano ascoltare

ed eccoli nel grigio di novembre

rigidi e puntati verso l’alto

come se dovessero

tenere su le nuvole

*

 

P.S.

 

Io chiedo che cosa ha tua mamma

e tu rispondi un tumore

 

il male che non si può nominare

lo pronunci in modo disarmante

come dire tazza albero ombrello

un oggetto qualsiasi che esiste

e dunque parliamone pure

 

come se il cancro di tua madre

fosse una cosa da cui

tu puoi guarire

 

*

 

Casa di riposo, Podsabotin

 

Una donna sta dormendo sulla sedia in refettorio

ha il viso appoggiato da un lato

la bocca spalancata in un grido senza suono

 

dietro a lei un pappagallo in gabbia

una volta cantava racconta l’infermiera

mentre le asciuga un filo di bava

 

adesso non canta più

o forse a forza di stare qui

al posto delle parole ha imparato a ripetere il silenzio

silenzio

silenzio

silenzio

e anche se la donna dovesse aprire gli occhi

svegliarsi è un’altra cosa

 

invidio chi non ha paura di morire

io ne ho molta

ma quello che mi spaventa ancora di più

è continuare a vivere da morto

 

*

 

Una solitudine improvvisa

 

La solita storia che raccontavano a tutti:

non si può uscire nel buio

c’è il lupo là fuori

io mi nascondevo in fondo alle coperte

mentre mia madre mi accarezzava i capelli

 

lo vedi

alla fine il lupo c’è per davvero

lo hanno intravisto stasera lungo la strada per ?epovan

 

io mi stringo al piumone come una volta

 

però mia madre non ritorna

 

*

 

Gianturco

 

Quella prostituta è una ragazza splendida, dici

io sto attento a non calpestare gli escrementi

lungo il marciapiede di questa tangenziale

alzo la testa stringo i miei occhi da miope

e dall’altra parte della strada

distinguo a malapena una figura

 

è sempre così

 

io mi fido di te e tu

in cambio mi mostri

la bellezza del mondo

 

(inedito)

 

 

***

 

Francesco Tomada, nato nel 1966, vive a Gorizia. Ha pubblicato le raccolte “L’infanzia vista da qui” (Sottomondo, 2005), “A ogni cosa il suo nome” (Le Voci della Luna, 2008), “Portarsi avanti con gli addii” (Raffaelli, 2014), “Non si può imporre il colore ad una rosa” (Carteggi Letterari, 2016), “Affrontare la gioia da soli” (Pordenonnelegge/Samuele, 2021). Per la collana “Autoriale” (Dot.Com Press) è stata edita nel 2016 una sua antologia ragionata. Ha curato un volume sulla produzione letteraria della Provincia di Gorizia dal 1861 ad oggi; è coinvolto in diverse iniziative di divulgazione della cultura ed è redattore del sito web “Perigeion” e della rivista “Smerilliana”. I suoi testi sono stati tradotti in una quindicina di lingue straniere. Una selezione dal titolo “Questo è il mio tempo” è stata edita dalla casa editrice Scalino di Sofia.

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