Le parole della scienza 2: dal consolato alla funzione

2 Consoli dell’antica Roma


di Antonio Sparzani

Qui la prima puntata di questa ricerca. Voglio ora considerare un’altra parola chiave in tutta la matematica ma anche nella scienza e nella vita più in generale. E poi questo verbo considerare è così bello perché contiene le stelle – sidera – , il verbo è infatti identico alla sua forma latina considerare, e fu usato in una prima fase dai marinai che intendevano (e giustamente) guardare attentamente le stelle per orientarsi e soppesare bene la rotta da seguire. La parola però di cui voglio chiedere a certe stelle è funzione.
Per capire una nuova idea occorre soppesarla a lungo, bisogna arrivare a mangiarla, cantava Gaber, bisogna guardarla da tutti i lati possibili, aprirne la storia, e quindi provare a usarla. Se quindi mi metto a seguire la storia della parola scopro che anche qui occorre ricorrere al latino (per non andar più lontano) e seguire poi quella serie di slittamenti di significato — cui anche la matematica ha contribuito – che hanno portato al significato moderno.
Tutto parte dal verbo latino fungor, il quale originariamente indica l’adempiere un dovere, una mansione: consulatu fungi significa “esercitare il consolato’, come fanno quei due bei Consoli che vedete in figura.

A. Primo passo: da qui segue, slittando un pochino, che si può usare la parola per dire che si esercita una mansione di un altro, se ne ricopre il ruolo; tipicamente, sempre nel latino classico, fungi maternis vicibus significa “far le veci della madre”. Da questa direzione di significati deriva l’italiano fungere che incorpora già ‘le veci’, “fungere da sostegno” sta per “fare quello che fa un sostegno”, anche se lo scopo originario non era quello, “fungere da madre” significa esercitare le mansioni della madre pur non essendo la madre; attenzione che si può equivalentemente anche dire “fare la funzione di un sostegno”, o “della madre”, rispettivamente. Dunque la parola funzione indica un passaggio di azione da una cosa ad un’altra, o da una persona ad un’altra, una sostituzione, un prender su di sé la figura di qualcos’altro. Secondo la Costituzione italiana nel caso di impedimento del capo dello stato, il presidente del Senato ne assume (Dio non voglia per carità, oggi) provvisoriamente le funzioni: vuol dire che egli, pur non essendo il capo dello stato eletto, ne assume il ruolo, prende su di sé l’onere — e l’onore — della carica.

B.. Secondo passo: a questo punto si è verificato un nuovo, e fondamentale, spostamento di significato all’interno della storia della matematica, fin dagli ultimi decenni del secolo XVII.
In una prima fase, che si può far simbolicamente coincidere con l’opera di Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth 1642 – 1727, i suoi fondamentali Principia sono del 1687), l’idea che una qualche grandezza possa dipendere da un’altra, possa cioè variare al variare di un’altra, è limitata al caso in cui quest’ultima grandezza sia il tempo; Newton non usa ancora la parola funzione, ma usa la parola latina fluentes (si ricordi che i Principia furono scritti originariamente in latino, la lingua ancora prevalente all’epoca, con la beata eccezione di Galileo) per indicare quelle entità che hanno la caratteristica di cambiare col tempo. La parola funzione, o per meglio dire la sua versione latina functio, appare per la prima volta nella storia della matematica in un manoscritto di Gottfried von Leibniz (Lipsia 1646-1716) del 1673 intitolato Methodus tangentium inversa, seu de functionibus, nel quale ancora si parla del calcolo di certe speciali caratteristiche di una curva piana, quali la sottotangente, la sottonormale e altre, che rivestono un certo ruolo nell’andamento della curva e dunque ancora la parola rimane nell’alveo del significato di ‘ruolo’: Leibniz si serve invece per indicare la dipendenza dell’ordinata di un punto della curva dalla sua ascissa, della parola relatio, ‘relazione’. Ma nel prosieguo del manoscritto, ecco che l’autore si serve della parola functio per indicare appunto in generale queste varie caratteristiche della curva al loro variare lungo di essa, in quanto il suo scopo, nel manoscritto, è quello di risalire dal variare di queste caratteristiche alla forma della curva — di ricavare dalle functiones la relatio; nello stesso senso allargato Leibniz continuerà ad usare la parola in altri lavori del 1692 e del 1694.

C. Terza tappa. Occorre guardare a un personaggio chiave, immediatamente successivo a Leibniz, il matematico e fisico svizzero Johann Bernoulli (Basilea 1667-1748). É a lui che si deve la prima definizione formale di che cosa sia una funzione in quanto “quantità composta di grandezze variabili”: così suona la sua definizione. “Si chiama funzione di una grandezza variabile una quantità composta in una maniera qualsiasi a partire da questa grandezza variabile e da costanti.” Cosa significa “quantità composta in maniera qualsiasi”? Significa anzitutto che si tratta di una certa composizione — mescolanza — di simboli che rappresentano la variabile, certe eventuali costanti e le note operazioni aritmetiche: addizione, moltiplicazione, divisione (purché non per lo zero), elevamento a potenza.
L’aspetto interessante di questa definizione, oltre a quello di essere un primo tentativo di formalizzare la parola funzione all’interno delle matematiche, è quello di identificare una funzione con una espressione formale. Ad esempio x² -x +3 o tutte quelle che la fertile mente di un matematico può facilmente immaginare, purché siano, s’intende “ben formate”.

Dunque, in questa prima fase della ricerca di cosa è funzione, si adotta un atteggiamento tipicamente connotativo: per assegnare una funzione occorre che sia data una espressione che permetta di calcolarla. Essa non è certamente unica, ad esempio le espressioni: (x-1)(x+1) e x²-1 chiaramente diverse in quanto espressioni, danno luogo agli stessi valori come chiunque può verificare, ma si vede allora che, secondo la definizione di Bernoulli esse sono funzioni diverse, in quanto composizioni di simboli diverse; tuttavia si vorrebbe in maniera naturale identificarle in quanto portano appunto agli stessi numeri a partire dagli stessi numeri. Questo spinge ad adottare una definizione di funzione che badi non tanto alla sua espressione formale, ma al risultato che corrisponde ad ogni valore della variabile.

D. Quarta tappa. Già nel XVIII, e poi più decisamente nel XIX secolo comincia ad affermarsi la tendenza a generalizzare la definizione di funzione, svincolandola dall’esigenza di una sua rappresentazione analitica; la prima vera formulazione di questo tipo è dovuta a Leonhard Euler (Basilea 1707 – San Pietroburgo 1783). Questo grande matematico e fisico svizzero fu allievo di Johann Bernoulli, e succedette nel 1733 al figlio di questi, Daniel, sulla cattedra di matematica dell’Accademia di San Pietroburgo. Scrisse la definizione che sto per dirvi nella prefazione delle sue Institutiones calculi differentialis, pubblicate nel 1755, ed è questa:

“Se alcune quantità dipendono da altre quantità in modo tale che se queste ultime vengono cambiate allora le prime anche cambiano, allora queste sono dette funzioni delle seconde. Questa denominazione è della più ampia natura e comprende ogni metodo per mezzo del quale una quantità può esser determinata da altre. Se perciò x denota una quantità variabile allora tutte le quantità che dipendono dalla x in un qualsiasi modo, o sono da questa determinate, sono dette funzioni di x.”

Quest’idea, decisamente moderna, non fu immediatamente condivisa dai matematici europei, ma dopo qualche decennio cominciò ad affermarsi definitivamente, nelle opere di Lagrange, Lacroix, Fourier e — infine — di Lobachevskij e Dirichlet.

Da questi pur rapidissimi cenni storici si dovrebbe poter dedurre almeno che l’idea che sta alla base del concetto di funzione è quella di dipendenza di una grandezza da un’altra (o da varie altre, “funzioni di più variabili”). Si noti tuttavia che la parola ‘dipendenza’ può alludere — connotativamente — ad un modo causale formalmente esprimibile nel quale una grandezza y è determinata da un’altra grandezza x — la direzione di marcia di un’auto dipende strettamente dai movimenti dello sterzo — oppure questa dipendenza può essere più astratta e casuale: ad esempio associate ad ogni intervallo di un minuto della notte dal 10 all’11 agosto 2023 il numero di stelle cadenti visibile a occhio nudo in un fissato quadrante del cielo boreale: è chiaro che anche questa funzione è perfettamente definita e determinata, ma è molto meno chiaro come si possa in qualche modo risalire dal valore della variabile indipendente (che percorre l’intervallo di un minuto) a quello della funzione (il numero di stelle cadenti), se non mediante una accurata osservazione. É chiaro che in quest’ultimo caso la funzione è data in modo squisitamente estensivo: si osserva — e si trascrive poi eventualmente in un grafico — il valore corrispondente ad ogni istante; mentre nel caso dello sterzo c’è sicuramente modo di calcolare — e quindi anticipare — la direzione di marcia in termini dell’angolo di rotazione dello sterzo.

Ovvero, nell’idea di funzione, se la mangiamo bene tutta, il concetto di “legame causale” tra il valore della variabile e il risultato della funzione per tale valore, diventa sempre più labile.

2 pensieri su “Le parole della scienza 2: dal consolato alla funzione

  1. Monica Mazzitelli

    Nonostante il mio Asperger mi impedisca di comprendere l’intero contenuto di questo articolo, ciò non toglie che l’abbia amato moltissimo per la gioiosa accuratezza e il risucchiante procedere della sua narrazione! <3

    Rispondi
    1. Sparz

      ma va’ Asperger figuriamoci, non sapevo neppure cosa fosse, ho guardato su wiki e non mi pare che impedisca alcunché. Grazie della “gioiosa accuratezza e il risucchiante procedere” che non avevo mai sentito da alcuno, ma che mi piacciono molto. Ciao Monique!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *