Andrea Temporelli, “L’amore e tutto il resto. Poesie 1996-2022”

di Giselda Pontesilli

«A poco a poco anche l’epoca evapora», auspica Andrea Temporelli (alias Marco Merlin) in questo primo verso, così elaborato e immediato, di   Epoca, poesia (in cinque strofe) della presente raccolta; e l’ultimo verso, ripetuto anch’esso due volte (in quarta e quinta strofa), così annuncia e conclude:

«Un nuovo mondo dietro l’angolo aspetta» :

Per ciò elemosina giorno su giorno
un senso, scava nelle mani aperte,
dona a tutti un destino. Inventa. Annuncia:
un nuovo mondo dietro l’angolo aspetta.

A poco a poco anche l’epoca evapora,
si slaccia la metafora perfetta
e il fiato dentro il vuoto prende forma:
un nuovo mondo dietro l’angolo aspetta.

Il poeta, dunque, che in un suo breve e recente scritto, Contro la rassegnazione, dichiara di aver sempre avvertito nella poesia «la tensione a muovere il pensiero […] oltre la denuncia del vuoto, oltre al crollo delle illusioni», individua «il senso della scrittura» nell’elemosinare «giorno su giorno un senso» e con ciò riuscire  a presentire “un nuovo mondo” che dietro l’angolo aspetta, a presentire un Primo passo su Marte, come si intitola quest’altra poesia:

Talvolta accade (pensa al primo uomo
su Marte) di trovarsi dentro a un angolo
dell’universo vergine e inondato
di luce (ora è un prato
o un posteggio o il cortile
stupefatto nel fango,
insomma un posto comune) ma è aprile,
magari, neanche a farlo
apposta, proprio non puoi non capire
in quel frangente che nessuno mai
se ne è andato davvero,
tutto conferma che non hai varcato
alcuna soglia, ma che il senso intero
era già lì per te, da custodire,
gratis, semplicemente.
Come quando è da poco
che parli con un’amica dopo anni
e poi vividamente
senti la voce che pronuncia il nome
e tu che prima nome non avevi
rispondi prontamente,
chiamato a stare al mondo
senza più dubbi o affanni.

Ecco, attenzione! qui, alla necessaria analogia; questa poesia, a parte la “metafora” del «primo passo su Marte», è un’ampia analogia:

«talvolta accade», «gratis, semplicemente», in «un posto comune» «inondato di luce»

 ? posteggio, prato, cortile ? la conferma «che nessuno mai se ne è andato davvero», e «che il senso intero era già lì», senza elemosinarlo giorno su giorno (come impone l’epoca), «gratis, semplicemente»;

«come quando», nel planetario “posto” “comune” del muto, murato isolamento, il nome che portiamo e non sentiamo quasi più pronunciare, viene pronunciato «vividamente» «dopo anni» da «un’amica» e soavemente a un tratto, risentendone il suono, il benevolo riconoscimento, rispondiamo prontamente e ci sentiamo chiamati a stare al mondo «senza più dubbi o affanni».

L’analogia, che non è la metafora e dunque non «si slaccia», ci fa presente qui la necessaria correlazione e concordanza tra fuori e dentro ?cioè tra natura e anima, perché entrambe partecipano dell’essere; come anche però -insieme- tra “umanità” (o “storicità”, o “comunità”) e anima: il «cortile stupefatto nel fango» ci nomina, ci consola, come anche però ci nomina e ci consola l’altro uomo, «la voce che pronuncia il nome»; e le due realtà sono inseparabili, necessarie entrambe per approssimarsi al «senso intero» «da custodire».

Accade oggi, quotidianamente, capillarmente, di arrendersi, rassegnarsi all’isolamento tecnico globale, alla deprivazione, desertificazione umana, recuperando a volte sempre di più, per compenso, l’unione privata con la natura e al contempo, da lontano, il compatimento per ogni sguardo umano.

Ma il poeta non si rassegna, postula entrambe: natura e “storia”;  e… 

Il nome ci manca ormai (in questa stremata, deprivata “«epoca»”) per la realtà alla natura e alla storia “analoga… 

Il nome ci manca, ma lo pronuncia sempre la natura (come «talvolta accade» che noi “non possiamo non capire”) e “qualcuno”, che, malgrado tutto «dopo anni» ce lo ricorda ancora, aspettando che si sciolga il ghiaccio, l’acuto inverno (“inverno dello scrivere nemico”) di quest’epoca, aspettando «un nuovo mondo [che] dietro l’angolo [ci] aspetta».

Da qui, il tono di tutta la raccolta, che non è intimistico, né psicologistico, bensì ben compreso della “situazione generale”, cioè della circostanza storica che tutti schiaccia e sovrasta, e anche, benché implicitamente, della “circostanza” metastorica, metafisica (si vedano ad esempio, Visioni della battaglia gloriosa, Dissertazione breve sulla gioventù, o Patria, oppure Postilla per l’alieno, con cui la raccolta si conclude).

Da qui, anche, la lode (seppur sofferta, seppur, in fondo, per interposta persona), dell’amicizia, che “non c’è”, ma è.

  È.  Analoga a: virtù, verità, comunità. 

“Come” negli antichi. 

“Come” nelle Lettere Familiari e Senili di Petrarca, lettere al suo “Socrate”, al suo “Lelio”, a Guido Sette, a Giovanni da Certaldo, a Marco Tullio Cicerone.

“Come” in Dante, nell’insormontabile, stupefatto suo sonetto a Guido, qui egregiamente ripreso nella poesia [a Simone] intitolata, appunto, Fronte del bene comune:

Ricky, io vorrei che tu, Davide, Massimo
Flavio, Alessandro e io stessimo insieme
ancora un poco, per l’ultima volta
e mettessimo al centro
il corpo di Simone ? per baciarlo,
e pulirlo, e proteggerlo,
soprattutto proteggerlo
dai poeti. Staremmo
in silenzio per un lungo momento,
per fare paradiso
di questa terra marcia. È tutto assurdo,
ma io vorrei che i vostri volti veri
si specchiassero per sempre nel suo,
per poi restituirmi
quello sguardo leale e velenoso
che avrebbe dato credito,
sebbene senza crederci, a ogni slancio ?
non fosse che per amicizia, solo
per amicizia. Niente
ha senso, soprattutto
questo. Perciò vorrei che foste voi,
adesso, il fiele prodigioso, il male
che vince il male, il miele
del suo stellante nome.

Simone Cattaneo: il cui nome, la cui poesia, leale e velenosa, è il fiele prodigioso, il male catartico che vince il male, “«non fosse che per amicizia, solo /per amicizia.»”. 

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