“Il tornello dei dileggi”, di Salvatore Massimo Fazio

Testo introduttivo e intervista di Marino Magliani

Quarantasette anni dei quali almeno trentadue dediti alla scrittura, senza mai approcciarsi ad un corso o ad una scuola: l’anti accademismo lo coglieva da giovanissimo e quel nichilismo cognitivo, tesi che ha sviluppato e che non pochi problemi gli ha creato, oggi diventato un pessimismo ragionato, trova finalmente la sua azione pragmatica. È con Il tornello dei dileggi, pubblicato nella collana Eclypse di Arkadia Editore, che il filosofo catanese Salvatore Massimo Fazio, si dipana nei meandri della narrativa, dove un miscuglio ordinato di azioni del vivere, viene narrato, con leggerezza e allegria, sino a giungere alla chiusura di un cerchio che a tutti spetta: la differenza è il sapere come spetta. Sembra discostarsi da quelle oscurità ctonie del suo linguaggio intinto di neologismi, che permettevano di affrontare ‘margini’ filosofici quasi si parlasse di calcio, tanto che lo stesso autore asserisce che ‘semmai è il contrario’: la filosofia è la matrice dell’inutilità, del peggiorare il proprio stato di salute; il calcio no! Il calcio è forza, velocità, potenza, determinazione e infine inganno e in quell’inganno l’uomo naviga gioioso.

Non il primo libro, ma il primo romanzo assoluto: quali le circostanze in cui lo hai scritto?

«Non esistono circostanze, così come non esistono ispirazioni o ideazioni: tutto ciò che racconta la storia di Adriana, Giovanna, Paolo, Andrea e altri personaggi, altro non è che una delle forme del vivere che scelgono persone del mondo occidentale».

Dunque perché questo libro sta così tanto piacendo e facendo così discutere?

«Ho sentito e anche letto da più parti due elementi comuni da più critici: è shoccante ad un certo punto, dove l’inaspettato è anche impensabile e propone una modalità di scrittura che esula da qualunque altra. Sta di fatto che io l’ho scritto così come so fare.»

Non hai avuto un editor che ti aiutasse a renderlo fruibile per il godimento di lettura, ma anche per il mercato editoriale?

«Assolutamente, e pure bravo e un po’ troppo cavilloso per me, ma non aveva fatto i conti con i miei di cavilli. A notte inoltrata si finiva senza più darsi appuntamento. Tenui ‘ciao’ e grande attenzione ad averla vinta: così l’ho vissuta.»

Polemiche?

«Per nulla, nemmeno litigi. Sono entrato nell’ottica che il mio editor ha fatto il suo lavoro e nell’altra che come saggista sono uno dei tanti, come narratore sono unico tra i tanti unici. Pertanto la mia forma che non segue soggetto, verbo, predicato e invece poi la segue, non è errore, non è voluta, ma viene fuori proprio dall’impeto della mano guidata dalle lampadine che si accendono nel cervello.»

È un desiderio, una necessità una passione quella di scrivere?

«Una terapia. L’ho detto e lo ripeterò fino allo sfinimento: Cioran, mi ha insegnato che se detesto qualcuno devo scrivere fino a quando mi stanco che ‘X è una carogna’. Così mi alleno e così quando scrivo e ho scritto anche questo romanzo, l’ho fatto con pugno, penna bic blu e fogli di carta riciclati da stampe fallite.»

Salvatore Massimo Fazio (foto di Donato Scuto)

C’è un tornello e ci sono dei dileggi: cosa significa?

«Che a giro tutti ti dileggeranno almeno una volta, e che quella volta che non possono fare altro che riconoscere la tua legittimità… continueranno a dileggiarti. Questo succede a due protagonisti del romanzo: Paolo e a Giovanna, che sono rispettivamente la metafora del compagno che vota a destra e della femminista che non fa il gesto vaginale di libertà per una questione di pudicizia. Poi c’è il solo tornello, quello in cui se sbagli un millimetro di passo, rimani incastrato e puoi morire: bisogna capire se ti spiace morire.»

Un classico: quando hai letto il tuo primo libro e qual è l’autore o gli autori a cui ti sei ispirato?

«Il primo l’ho letto a 6 anni, ‘ I racconti di Remì’, storia di un bimbo cartonato sempre triste con una cartella alle spalle anche se dormiva. Autori ai quali mi sono ispirato consapevolmente, per questo romanzo, non ne ho avuti. Mi preme, ne approfitto qui, dirle che ‘penne’ del calibro di Joffo, Cioran, Permunian, Bonvissuto, Celine, De Felice, Bene e Feuerbach, hanno dato tantissimo al mio comprendere overture, stile e contenuti della narrazione. Di altri, come Carofiglio ad esempio, mi interessano solo i contenuti. Solo interesse, per capire come li vede un ex persona che decideva le sorti di altre persone.»

Perché dice questo?

«Perché non spetta all’interpretazione di un essere umano condannare o meno un altro essere umano: è la logica dello squadrismo. Si deve poter valutare assieme all’additato, questo non succede.»

Questo tuo libro sarà più comprensibile dei precedenti in particolare quelli dove è esposta la tesi del nichilismo cognitivo (comprenderai bene che nei giorni attuali, tolto Fusaro, non è facile trovare fondatori di nuove prospettive di pensiero).

«Fusaro è diligente. Fusaro è in TV. Fusaro insegna e ha pubblicato con Bompiani, che fa sempre piacere, innegabile. Io ho provveduto a dilaniarmi l’animo davanti a quattro stronzi che ripetevano a memoria la lezione appresa tra scuola e libro di scuola letto. Il mio romanzo è leggibilissimo, facile e con i messaggi mirati a diverse categorie di età.»

Passi con facilità dalla prima alla terza persona: non commettendo nemmeno un errore di metodica: quanto hanno influito gli studi liceali dato che mai hai voluto frequentare scuole specifiche?

«Io non ho maturità liceale, né approcci di studi. Sai cos’è che mi trovo a lavoro, uno dei tanti e sento persone che devono aiutare l’altro, che nei momenti di pausa dicono che un istituto tecnico o un ex istituto dell’arte o scuola magistrale, sono delle merde che non portano da nessuna parte. Beh, io sono qui, nel più importante web magazine di cultura e libri e non sto a parlare di come si prepara un potage. Questo è quanto trasmetto ne ‘Il tornello dei dileggi’: non è affatto vero che certe branche sociali quando sventolano i loro cartelli in rispetto di uguaglianza stanno combattendo per l’accoglienza o per la vita giusta, per nulla! Stanno scendendo in piazza a sparare cazzate. Certo che qualcuno che ci crede esiste, dopo un primo periodo di svezzamento se ne andrà dal circuito che frequenta, con relativa emarginazione.»

Una posizione radicale che non sempre così ferrea sembrerebbe.

«Tra Torino in primis, e Catania, città che vivo e ho vissuto più di altre è così. Il discrimine viene fuori da chi si osa chiedere perché devo tirare le pietre a mio cognato che è poliziotto. La risposta sai qual è stata? Che è uno strumento dello Stato che dovrebbe vergognarsi. Io le pietre le tiro a chi mi disturba e così lo faccio fare ai miei personaggi, che troveranno una risposta a tutto: dunque conta la forma o la sostanza? Mi sa proprio che tutti questi sbandieratori con croci celtiche o fcce del CHE, hanno bisogno di chiarirsi in uno studio medico. Adriana è una di queste persone, e ne leggerete delle belle e non inventate»

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *