La parola ai poeti. Marcello Comitini. 44

Dicono che le mie poesie sono tristi, che dimentico felicità e speranza, che il mio motto “il disinganno prima dell’illusione” è una negazione del sentimento umano. Dicono che il mondo non è come lo vedo io. Ma com’è il mondo? Felice e ebbro? Felice e ebbro di una gioventù che esiste soltanto in chi è giovane di età, che peraltro non è perciò stesso felice.

Un mondo felice e ebbro della bellezza mostrata dalle pubblicità, una bellezza desiderata ma impossibile da raggiungere, anche per coloro che dicono pubblicamente d’averla raggiunta: ricatti e umiliazioni gravano sulle loro spalle. 

Un mondo ebbro d’amore? E dove sta tutto questo amore? 

Forse in rari esempi, oggetto di sguardi altrui colmi di pietà, una pietà che si spegne al primo battere di ciglia. Forse nel piccolo o grande spazio di serenità di cui ciascuno di noi individualmente gode o più realisticamente cerca. Ma dobbiamo chiudere gli occhi e tapparci le orecchie per riuscire a goderne intimamente. Se guardiamo e ascoltiamo, ci accorgiamo che quello spazio è dominato dall’individualismo.

Soprattutto ci accorgiamo che fuori dal nostro spazio, c’è quel mondo che fa paura a guardarlo quando lo si incontra disteso sui marciapiedi, avvolto negli stracci o nei cartoni, rinchiuso nei centri di raccolta, in perenne fuga dalle persecuzioni. Quello che fa paura a pensarlo in guerra fratricida. E poi quel mondo dei morti sul lavoro, dei femminicidi, degli stupri e delle violenze.

 

Io sono uno che scrive poesie, ma non sono un poeta da salotto né di regime e neppure reazionario o rivoluzionario. Sono un poeta che parla dell’uomo, della sua miseria, delle sue mortificazioni, delle sue illusioni di libertà, contro il disumano saper essere crudele. Tuttavia non sono privo di sogni, e qualche volta spingo il lettore a sognare d’amore e della natura.

I miei versi li diffondo sul web per evitare che li uccidano i detentori della cultura ufficiale. Chi lo nota ha un cuore immenso e possiede la sensibilità di comprendere un poeta, che vive sotto i ponti, avvolto nei cartoni, le mani sporche di sangue e pensieroso. 

Chi vuol aprire gli occhi e il cuore legga i miei versi, si lasci trasportare dal sentimento d’amore che essi esprimono verso tutto ciò che non è amato e neppure amabile, si lasci invadere dall’indignazione verso chi costringe l’umanità ad essere divisa in ricchi e poveri, in sfruttatori e sfruttati, in carnefici e vittime, si nutra dei tormenti di chi lotta tra il credere in Dio e il sogno di un’umanità giusta e comprensiva ora e subito. 

Alto sul dolore vedrà se stesso e il mondo.

Altrimenti non dica nulla di me, sfogli le riviste, guardi il cielo e le nuvole, ascolti la musica e continui felice d’essere sordo e cieco.

 

POSSO CHIUDERE GLI OCCHI

Posso chiudere gli occhi come fanno

tutti i poveri al mondo, i cenciaioli,

con orecchie tappate e labbra strette

per non sentire le voci che osannano

al Dio che tutto suo malgrado perdona,

per non gridare il dolore che morde

i sogni acciambellati in fondo alla coscienza.

Voglio morire come muoiono coloro

che vivono spingendo carrelli della spesa

colmi di stracci e di speranze miserabili.

Coloro che, lungo strade di scaffali vuoti,

lungo corsie di case spente e tutte uguali,

annegano nel vino che fa dolce il rossore

piagnucoloso delle loro facce.

Chiuderò gli occhi, serrerò le orecchie.

Con le viscere piene del fuoco del liquore

mi stenderò supino lungo spiagge deserte

e guarderò le stelle chiuse nel mio cuore.

Ascolterò le onde che mi lambiscono la mente

e quando all’orizzonte s’infiammeranno i soli

chiederò alle farfalle, vanesse, colie, brintesie,

di chiudermi le palpebre e da dolci amiche

bere le lacrime che scorreranno

involontarie sul mio viso.

 

Versi tratti da: “Posso chiudere gli occhi”

In “Formule dell’anima” 

©Copyright 2011 Marcello Comitini

2 pensieri su “La parola ai poeti. Marcello Comitini. 44

  1. S&R

    Il non senso, lo scandalo del dolore e dell’ingiustizia feriscono la sensibilità, interrogano, ma dove trovare? “Tutto è vanità e un correr dietro al vento”, dice Quoelet, e l’assemblea domenicale risponde “Amen”. Anche questa è parola di Dio. L’intreccio inestricabile di bene e male è una provocazione che interpella, esige una scelta di campo, un “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio” , come scriveva Calvino.

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  2. Marcello Comitini

    Ringrazio di cuore Fabrizio Centofanti per aver pubblicato queste mie riflessioni e Luigi Maria Corsanico per aver scovato fra i tanti miei versi quelli che con più immediatezza si accompagnano al mio modo di guardare al mondo.
    Mi permetto di chiarire a coloro che avessero scelto di rimanere sordi e ciechi, che saranno comunque amati.
    A S&R, che gentilmente ha commentato, mi permetto di osservare che il dolore e l’ingiustizia non fanno più scandalo, ma producono più dolore e maggiore ingiustizia.

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