L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati

E’ appena stato pubblicato dall’editore L’Arcolaio il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati, a cura di Mauro Germani, che sarà presentato il 4 marzo alle ore 17.30 presso l’Unione Commercio di Corso Venezia 47 – Sala Turismo, a Milano. Oltre al curatore Mauro Germani interverranno Rinaldo Caddeo, Angelo Conforti, Gianfranco Fabbri, Mauro Gaffuri, Ernesto Mandelli, Cristiano Poletti, Filippo Ravizza e Ottavio Rossani. Sarà presente anche Almerina Buzzati.

Il libro presenta contributi che riguardano non solo il Buzzati più noto, ma anche quello meno conosciuto, cioè il poeta, il drammaturgo e il librettista d’opera. A rendere ancora più prezioso il volume, una lunga e interessante intervista ad Almerina, la vedova dello scrittore. Per gentile concessione, propongo l’introduzione di Mauro Germani.

Introduzione
di Mauro Germani

“Con Buzzati se ne va la voce del silenzio, se ne vanno le fate, le streghe, i maghi, gli gnomi, i presagi, i fantasmi. Se ne va, dalla vita, il Mistero. E che ci resta?”.

Così scriveva Indro Montanelli sul “Corriere della Sera all’indomani della morte del grande scrittore, avvenuta quarant’anni fa, il 28 gennaio 1972 alla clinica La Madonnina di Milano. E Carlo Bo, sulla stessa pagina, ravvisava nell’opera di Buzzati la “perfetta coincidenza fra il senso del mistero e lo stile del tutto libero della restituzione”, nonché l’acquisizione per la nostra letteratura di un territorio nuovo, che trasmetteva “tutta l’angoscia – anche fisica – dell’uomo di fronte a ciò che ignora”.

Mistero, ignoto e angoscia, dunque, come cifre di un’opera multiforme, letteraria e pittorica, in cui gli aspetti apparentemente banali o innocui della realtà divengono segni inquietanti, indizi d’Altro, ammonizioni che turbano l’anima, prima dell’ineluttabile congedo.

Nelle pagine di Buzzati, il destino è sempre in agguato e si manifesta ovunque. Si pensi alle amate montagne e ai boschi dei primi lavori, luoghi d’iniziazione e di scoperta, oppure alla solitudine del deserto, come luogo dell’attesa e dell’impossibile. E si pensi a Milano, la sua Milano (quella per intenderci di Un amore o di Poema a fumetti), la grande metropoli tentacolare, il crogiolo di vite segrete, di sogni, di illusioni e di disperazioni, vero e proprio luogo del mistero e del quotidiano, stregata babele, girone infernale di turpitudini, di occulti prodigi e di inconfessate miserie.

Pochi autori – soprattutto italiani – ci hanno lasciato un’eredità artistica come quella di Buzzati, in cui il sentimento del mistero si unisce all’angoscia davanti all’ignoto e all’assurdo che irrompono nella nostra esistenza.

Egli è stato un vero e proprio ascoltatore dell’ignoto, un decifratore dell’invisibile e dei messaggi segreti nascosti nelle pieghe dell’esperienza di ogni giorno. E’ stato lo scrittore dei trasalimenti dell’Essere in prossimità dell’abisso, che si spalanca dentro e fuori di noi. Con umiltà. Con dedizione. Quasi con una forma di obbedienza (simile a quella di Drogo, il solitario protagonista del Deserto dei tartari), indispensabile per riconoscere i presagi, gli avvisi cifrati che rivelano la coscienza del tempo e della morte. E con una scrittura apparentemente facile, a volte neutra, oppure mascherata dalla cronaca. Una scrittura che sicuramente meriterebbe studi più approfonditi, scevri da ogni sorta di pregiudizio, da parte della cosiddetta critica ufficiale.

L’eccentricità di Buzzati, infatti, il suo essere appartato, al di fuori di ogni scuola o tendenza, il suo non definirsi “intellettuale”, la sua ritrosia culturale, hanno determinato spesso una sorta di disagio, di spaesamento, o addirittura di rimozione nei confronti di un’opera probabilmente considerata troppo anomala, come il suo autore.

Eppure – occorre ribadirlo – quella buzzatiana è una produzione di notevole interesse, non solo perché trova espressione in diversi ambiti artistici, dalla narrativa alla poesia, dal teatro alla pittura e perfino al fumetto, con una sorprendente forza inventiva e soprattutto con una coerenza tematica di fondo, ma anche perché attraversata da un’inquietudine linguistica che varrebbe la pena evidenziare.

Buzzati è stato un autore che – a dispetto di quanti sostengono il contrario – ha sentito spesso l’esigenza di mettersi in discussione. Altro che relegarlo all’interno di un improbabile “kafkismo italiano”! L’ombra del grande autore praghese ha finito per nascondere gli aspetti più originali del Nostro, quella sua volontà di coniugare il dramma della condizione umana con una espressività variegata, capace di comprendere, soprattutto dagli anni Sessanta in poi, momenti alti, a volte fortemente lirici, ed altri colloquiali, tratti dalla quotidianità. Ciò è riscontrabile non solo nelle opere in prosa, ma anche nei testi poetici di Il capitano Pic e altre poesie e soprattutto nel poemetto Scusi, da che parte per Piazza del Duomo?, nel quale Buzzati sembra giocare con i versi, divertendosi a spiazzare il lettore con imprevedibili stacchi e fulminee invenzioni linguistiche, insieme a piccole narrazioni, paradossi inquietanti, elencazioni, atmosfere crepuscolari, malinconie improvvise, crudeltà segrete e quotidiane, alimentando un senso di angoscia sotterranea, quasi di irreparabilità apocalittica, un’oscura consapevolezza di morte.

In Buzzati la parola appare estremamente mobile, metamorfica. Può essere assoluta, ma può anche trasformarsi repentinamente, divenire il suo opposto, la sua ombra beffarda, o addirittura mutarsi in disegno, in figura, in colore. Senza forzature. Con semplicità. Eppure sempre rispondendo ad un rigore superiore, non ostentato, invisibile, leggero, ad un’architettura della forma o ad una partitura segreta che tutto presiede (sappiamo, del resto, quanto Buzzati amasse la musica e si fosse cimentato anche come librettista d’opera). Insomma, ciò che di immediato e diretto è presente nella scrittura di Buzzati si unisce spesso ad una dimensione più letteraria, che mediante ellissi, inversioni sintattiche, incisi, variazioni dei tempi verbali, uso non convenzionale della punteggiatura e di un lessico a tratti lirico o desueto, conferisce al testo una sorta di polifonia compositiva, certo non casuale e segretamente perseguita. Il lettore sensibile, poi, non può non avvertire il senso e l’importanza dell’inespresso che animano la prosa buzzatiana, anche quando risente della tecnica giornalistica (è noto, del resto, che proprio Buzzati affermava che nel rapporto fantasia-cronaca si trovava il meccanismo base di ciò che scriveva; ed anche Montale precisò che in Buzzati la narrativa era “lo stesso guanto, ma rovesciato”).

Autore della forma breve, della misura concentrata in poche pagine o addirittura in poche righe (si veda, al riguardo, In quel preciso momento, opera forse meno nota, ma davvero straordinaria, in cui i temi consueti del tempo che passa, dell’attesa, dell’angoscia e della morte emergono sovente da un quotidiano perturbante, come in una specie di diario segreto, intimo e visionario), Buzzati è riuscito a creare racconti indimenticabili, contrassegnati sempre da una tensione narrativa di grande efficacia.

Tensione che ritroviamo anche in un’opera anomala come Poema a fumetti, esperimento assai riuscito di polisemia linguistica, in cui la rivisitazione moderna del mito di Orfeo è anche l’occasione da parte dell’autore per inserire nella narrazione una serie di citazioni tratte dai propri racconti e dalla propria produzione artistica (la città-inferno, la morte, le inquietanti figure femminili, le montagne, il mistero). Scrittura e pittura qui si compenetrano, suggellando così in un unico lavoro – quasi una summa artistica popolare e raffinata ad un tempo – la contaminazione tra le due forme espressive, che da sempre hanno presieduto l’universo buzzatiano.

L’opera di Dino Buzzati, mai dimenticata dai lettori e tradotta all’estero in tantissimi Paesi, è certo ancora oggi meritevole di interesse e di attenzione critica.

Questo volume, nel riproporre alcuni saggi usciti sul numero 7 (ormai esaurito) della rivista “Margo” nel dicembre 1991, insieme ad altri contributi di critici, poeti e scrittori contemporanei, vuole esserne non solo la conferma, ma anche un doveroso e sincero omaggio ad uno dei maggiori autori del nostro Novecento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *