Buon compleanno Giulia (Niccolai)!

di Kika Bohr

Giulia nel 2007 al compleanno di mio padre Olaf

Oggi sarebbe il compleanno di Giulia e mi suona veramente strano non poterle mandare quel “messaggino” (sms) o brevissima mail che ero solita mandarle. Da alcuni anni eravamo d’accordo tra di noi che quel giorno non le telefonavo per non “intasarle le orecchie”. La data era facile da ricordare tanto più che nell’87 avevo tradotto Autoritratto, un “Frisbee” di Giulia per la rivista francese Doc(k)s, (che qui trascrivo nella versione originale):

Sono nata il 21 – 12 – ‘34
21 e 12 sono anagrammati
e poi abbiamo anche 1,2,3,4,
Potrebbe essere elegante morire a 56 anni
per poter fare 1, 2, 3, 4, 5, 6.
Avrò 56 anni nel ’90.
Il 1991 però andrebbe meglio.
Farebbe da pendant al 21 – 12.
In questo caso sarei favorevole
a una lapide così concepita:
Nata il 21 -12 – 1934
Morta il 3 – 4 – 1991.
Difficile scegliere tra 56 anni
e il 1991.
Ma Giulia,
non si può avere tutto dalla vita!

Questo l’ha scritto negli anni ottanta. Alla fine però è morta a quasi 88 anni, nel 2021.

Il giorno del suo funerale il Lama tibetano, amico e maestro di Giulia, collegato dal monastero indiano, ha espresso la certezza che la poetessa sia morta senza sofferenze perché avanti nella vita spirituale. Altre amiche hanno raccontato che Giulia se n’è andata molto velocemente aspettando una tazza di cioccolata dal bar. Tutto questo ci rende forse un po’ meno tristi per lei ma non colma certo il vuoto, la voragine improvvisa, percepita da chi la frequentava.
Sì, Giulia, avanti nella vita spirituale, e allo stesso tempo capace di gustarsi la vita: entrambe le cose sono molto vere, anzi si potrebbe dire che Giulia era “una e trina”, una poetessa-artista-fotografa, una monaca buddista sapiente e un’amica premurosa e allegra (molti ricordano il suo riso inconfondibile). Sapeva sostenere e incoraggiare chi si affacciava al mondo dell’arte e della poesia comunicando le proprie esperienze ma non solo, con una capacità di ascoltare, consigliare e condividere il tutto coltivando l’amicizia e la convivialità con le persone.

Giulia aveva conosciuto i miei genitori nella metà degli anni cinquanta, a Milano, allo studio Ponti e nell’ambiente un po’ bohémien del bar Giamaica, una pazza giovinezza del dopoguerra, ma anche coraggiosa, piena di speranze e di ideali artistici. Giulia era allora una giovanissima e bellissima fotografa, molto volitiva e che lavorava per delle riviste come “Epoca” e varie pubblicazioni americane. Era spesso in viaggio, negli Stati Uniti, in Egitto, ma quando passava a Milano faceva un salto nella mansarda dei miei, con qualche ammiratore e una buona bottiglia di vino. Nel frattempo eravamo nati noi ma lei passava lo stesso e il ricordo di queste sue visite è di un turbine di freschezza e vitalità. E d’un tratto non era più fotografa…. (. * col suo carattere fiero e battagliero aveva rotto con l’ambiente del fotogiornalismo perché si era accorta che le redazioni che le commissionavano i reportage poi travisavano completamente quello che lei voleva esprimere con le sue foto, omettendo perfino le sue didascalie) ma era sempre lei, il turbine. Frequentava poeti e scrittori, era stata a Roma col Gruppo 63 poi si era lanciata in una nuova impresa, a Mulino di Bazzano, una località sperduta in collina tra Parma e Reggio Emilia dove con un certo Adriano Spatola e con Corrado Costa e un piccolo gruppo di amici svolgevano una esperienza di vita e lavoro poetico (poesia visiva, poesia sonora, poesia “totale”) poesia “underground” ma collegata con artisti e poeti di tutto il mondo. Quella forse è stata la sua dura scuola di vita e di arte. La vita a Mulino non era certo semplice, sia per l’isolamento e la mancanza di confort, sia per le dinamiche non sempre facili che si sviluppano nei gruppi di persone che vivono insieme, artisti spesso dall’ego prorompente.
Lì nel confronto quotidiano con gli altri poeti, si è lanciata nella poesia visiva e anche lineare – una non ha mai escluso l’altra – ha imparato a muoversi nel difficile ambiente dell’arte e delle gallerie fino a non poterne più! I fatti personali, rottura con Spatola, avvelenamento del suo cane, difficoltà ormai fisiche di sopportazione di quell’ambiente l’hanno riportata a Roma e poi a Milano. Lì la si incontrava – con il suo adorabile nuovo compagno Ian Simson – all’ Obraz, un fantastico cinema d’essai dove andavamo molto spesso, anche in sostituzione della televisione che avevamo rinunciato a possedere. Venivano a cena dai miei ed era subito una festa, passavano all’improvviso nella nostra casa occupata e si improvvisava un thè con tartine di marmellata di arance, venivano a trovarci in bicicletta o in lunghe passeggiate a piedi con i loro due cani, Lenny (in onore di John Lennon) “con la sua coda come il pennacchio di un bersagliere” e Sasha, mesta cokerina nera trovatella.

Giulia in forma di sirena, vista da Kika Bohr nel 1989


Poi a metà anni ottanta era stata improvvisamente male, Giulia, un terribile ictus. Abbiamo tutti avuto paura per lei… Ma piano piano si è ripresa e, probabilmente, aiutata da una parte dalla sua scelta di aderire al buddismo tibetano e a praticare la meditazione

“Come mi è già successo di scrivere in un racconto dal titolo ‘Cosmo bar’, apparso su Il Verri, n. 2-3, giugno 1997, un giorno del gennaio dell’86, fui costretta dalla mia stessa coscienza a scegliere tra il continuare a fare tutte quelle cose che l’ambiente culturale pretende da chi ha un ruolo pubblico di poeta (o di poetessa), o uscire dal giro, smetterla con le letture pubbliche, la partecipazione a convegni, ecc. Optai per la seconda alternativa, pur sapendo che ben pochi si sarebbero ricordati di me, e che i più mi avrebbero data per “morta”. Non nego che questa decisione di abbandonare il Circo Massimo e scendere nelle catacombe mi abbia causato sofferenza, ma non reggevo più i compromessi e le contraddizioni che sentivo impliciti nella mia precedente situazione. Scelsi di poter dire a me stessa: tu sei poeta! e sentirmi tale, piuttosto che esserlo considerata da altri, provando però disagio, fastidio e imbarazzo. Ne è valsa la pena. Mi sono conquistata uno spazio più ampio e più libero, nel quale continuano ad affiorare e venirmi incontro la poesia e la magia dell’esistenza. Ora, della vita, riesco persino a percepire, di tanto in tanto, una meravigliosa e pervadente qualità epica. Tre semplici ricette: “La poesia è ipotesi”, affermazione che ho sentito pronunciare da Giampiero Neri; poeta è colui che “impara a guardare il passare del tempo”, Maxence Fermine in Neige; e “…ma che senso avrebbe mai lo scrivere, se non ci fosse dietro la volontà di attingere il vero?”, Herman Hesse ne La cura” (da Quale poesia per il terzo millennio?, dichiarazione di poetica di Giulia Niccolai, nel sito web del CIRPS)

e dall’altra continuando a coltivare un’attività di poesia e di scrittura con i suoi inconfondibili Frisbees (“poesie da lanciare”), un genere inventato da lei e che come l’omonimo gioco da spiaggia coinvolge l’attenzione e l’intelligenza del lettore con giochi linguistici e visivi tratti dai più vari registri

il “frisbee” che, come il disco in uso sulle spiagge, consiste nel “lancio” immediato di uno spunto, di una associazione, di una battuta sorprendente. I Frisbees sono scritti con l’andare a capo del verso, ma il loro andamento non è legato a misure o ritmi prefissati: piuttosto hanno qualcosa dell’appunto preso nell’immediata vicinanza dell’evento (perché si tratta di invenzioni “della realtà”, piu ancora che dell’autrice); oppure del frammento che raccoglie una scheggia di “illuminazione” quotidiana. (Viviana Carini, Giulia Niccolai in “Per-turbamenti”)

Quindi erano nate le varie raccolte di poesia: Frisbees (poesie da lanciare), Frisbees in facoltà, Frisbees della vecchiaia (che ora si possono anche trovare – nel volume Poemi & Oggetti, delle sue poesie complete, un libro di 405 pagine, a cura di Milly Graffi). Parallelamente, ma forse cronologicamente un po’ dopo, Giulia ci racconta la sua esperienza col buddismo in Esoterico bigliardo e Le due sponde, libri più narrativi ma cui il suo sguardo alternativamente passa da argomenti filosofici e di meditazione a descrizioni di opere d’arte, di viaggi, ambienti e personaggi, il tutto con collegamenti molto godibili e pieni di umorismo, proprio come nei Frisbees (nella quarta di copertina di uno dei suoi primi libri, Harry’s bar e altre poesie 1969-1980 Giorgio Manganelli l’aveva paragonata a una “Shérazade in preda alla glossolalia”) ma ovviamente espresso in modo diverso.

Stare nella cucina di Giulia, a prendere un caffè, appoggiati sul vecchio tavolo di marmo a sua volta appoggiato su quattro mattoni facenti ufficio di sopralzo… Se apriva il frigo per prendere il latte pensavi al suo:

Una volta aprendo il frigorifero
è capitato anche a me di dire:
“C’è qualcosa di marcio in Danimarca”
(da: Frisbees (poesie da lanciare), Campanotto 1994,

Con Giulia parlavi generalmente italiano ma potevi anche giocare su altri sistemi linguistici, dato che lei conosceva molte lingue e le piaceva fare pastiches come aveva fatto nel magistrale secondo me Harry’s Bar Ballad:

È sempre imbarazzante per un tedesco chiedere
zwei dry martini
potrebbe chiedere
zwei martini dry
ma se chiede
zwei martini dry
gli danno i martini senza il gin. È costretto a berseli?
No
perché lui e sua moglie
vogliono zwei dry martini
e NON zwei martini dry.
Potrebbe chiedere
zwei mal dry martini
che tradotto in italiano diventa due volte tre martini.
Allora gliene danno sei.
Sei un bevitore di dry martini? Fanno diciotto.
Sei, sei dry martini?
Sei più sei dodici
sei per sei trentasei?
Non voglio né dodici né trentasei martini
voglio del gin perché sono G. N. Giulia Niccolai.
Des dry martini! Neuf!
Pas des vieux bien sûr madame… Anche un americano che chiede
nine dry martini
corre il rischio di non riceverne neanche uno se il barman lo prende per un tedesco.
Dix dix dry martini!
Non je dis pas je dis pas je dis pas!

Per non parlare della brava lavatrice, simbolo di pulizia interiore e problema concreto quando non funziona!
Però in conclusione penso che – se anche a voi piace il senso dell’umorismo e provate un’esigenza di rompere con l’invadente cinismo quotidiano – potreste provare la gioia di passare ancora qualche ora con lei leggendo qualcuno dei suoi libri, con lei che anagrammava il proprio nome in “Gioia Luci Lanci”.

3 pensieri su “Buon compleanno Giulia (Niccolai)!

  1. sparz

    Poche settimane prima di andarsene definitivamente Giulia era stata a cena da noi, col suo spirito intatto e la sua risata contagiosa, non ci potevo credere quando è arrivata la notizia. Io l’ho conosciuta più superficialmente di Kika, alle serate letterarie della libreria popolare di via Tadino e lì avevo imparato ad apprezzarla. Su Nazione Indiana, per chi volesse, ci sono vari post che la riguardano, o addirittura che riportano qualche suo gustoso frisbee, come questo, ad esempio: https://www.nazioneindiana.com/2011/11/05/play-time-giulia-niccolai/ , oppure questo: https://www.nazioneindiana.com/2014/01/24/fare-il-bucato/ che misi io con quella straordinaria foto di Giulia che ride così di gusto, e che è come me la voglio ricordare.

    Rispondi
  2. Giovanna Menegus

    Grazie, molto al volo, per questo bellissimo ritratto e ricordo di Giulia Niccolai. Senza avere la fortuna di incontrarla dal vero, e a dire il vero nemmeno di conoscere molto della sua opera, anche per me è stata importante. Mi illuminarono, quasi trent’anni fa, queste sue parole: “Il dolore è luce perché ci costringe a vedere ciò che facciamo di tutto per evitare: il dolore”, trovate in un’antologia di poeti. Sono sempre rimaste in me e sono, mi pare, il lato speculare dell’anagramma del suo nome “Gioia Luce Lanci”.

    Bello anche che il suo compleanno cada al solstizio d’inverno, e la sua morte a quello d’estate.

    (NB. Nel testo del post gli accenti si sono trasformati in punti interrogativi, rendendo incerta la lettura.)

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *