Di questo nuovo, bellissimo libro di Mauro Germani, poeta, critico e studioso, leggiamo sulla quarta di copertina: “Pagine di un diario spirituale e intellettuale nelle quali l’autore, in una prosa coinvolgente ed evocativa, a tratti visionaria, ci offre un bilancio della propria esistenza mediante memorie personali, confessioni, moti dell’anima e riflessioni sul senso della letteratura, della morte, del sacro e del mistero (…).
Le trentatré (numero emblematico) prose diaristiche sono precedute da un esergo di Mario Luzi: […] “crollò ogni divario / tra tempo e tempo / in una eternità accecante.” Eternità che potremmo definire – più che sontuosa Gerusalemme Celeste – presente eterno, senza inizio né fine, e luogo agognato in cui le anime si ritrovano mondate dalle loro imperfezioni; ci offre di esso una visione in versi, in sintonia con questo libro, Angelo Mundula, nella raccolta “Dal tempo all’eterno” (Vallecchi, 1979): (…) “dove tu non sarai / dove io non sarò / dove mai potremmo dirci addio / dove non c’è più dove e / l’anima è ovunque / tesa al suo nido / con la fede dei Santi che già vedono Dio” (…).
“Sempre più spesso mi rifugio nelle chiese. Ultimi baluardi del silenzio, del raccoglimento e del mistero, mi accolgono nella loro penombra. I dipinti, gli altari, i confessionali sono le pene del mondo, le lacrime segrete degli sconfitti, le invocazioni di chi è soffocato dal dolore.” Così principia il primo racconto, “In chiesa”, e già queste poche righe ci dicono di una fede, di una sensibilità e profondità, di compassione per l’umanità sofferente relegata ai margini della storia; ci dicono anche di una ricerca umana e spirituale, e del “rifugio” non solo come fuga e approdo, ma anche come atto di resistenza verso un mondo alla deriva, che ci sta trascinando in un baratro imponendoci le sue istanze, seducendoci con le sue promesse effimere di successo, piaceri e ricchezza, capaci di allontanarci e distrarci dalla nostra vera natura e dal nostro cammino.
Tra tempo e tempo ci sono le ombre di chi non è più, il loro mistero indicibile e, al momento, intrasmissibile; ombre che vagano silenti intorno a noi e in noi, inquietandoci (I morti).
Questo libro è una resa dei conti con sé stessi ma anche con questa epoca di cui si avverte, acuta, la sensazione di perdita di qualcosa di importante, sul piano personale e comunitario: “Un mondo di uomini e donne che avevano una loro dignità, una loro consistenza, una loro identità, le quali si potevano leggere sui loro volti segnati dal lavoro e dalle difficoltà di ogni giorno. Un mondo contadino e popolare che è stato distrutto (…) ( Natale 2019).
Come in ogni resa dei conti, la memoria non è solo esercizio cerebrale, ma agisce sotto la luce della consapevolezza e del rigore impietoso dei nostri valori radicati, affinati dal nostro sentire maturo e profondo. Così Livorno non è stato solo il luogo arioso e solare delle vacanze, per l’autore bambino, ma anche quello dell’”orrore dei bagni e di coloro che erano in costume”, la sensazione di “abbandono” per la mancanza della madre, da giugno ad agosto, e di “attesa febbrile”, evocandoci Proust e la Recherche. E poi, il mistero sacrale e precoce della scrittura, con la “magia” che, in parte, lascia il posto alla sensazione di “solitudine, vizio irrinunciabile o malattia, sguardo dentro l’abisso dell’esistenza e talvolta preghiera” (Scrittura); con l’”orrore” per il “cosiddetto ambiente letterario” (…) “con i terribili e nefasti giochi di potere (…) con i favori da ricambiare, con le subdole manovre per ottenere un po’ di visibilità.”(I miei libri); “Troppo spesso, oggi, leggo poesie senza anima, quell’anima che dovrebbe palpitare in ogni testo, in ogni libro. Così rimango sovente immune, mentre io cerco la ferita viva (e non quella artefatta, di maniera, di alcuni giovani autori, emuli per convenienza o per insipienza di presunti maestri…)”(In disparte);
Ed è proprio “la ferita viva” del corpo esposto che queste prose delicate e coraggiose eppure a volte dure, affilate ci permettono di vedere e di toccare; quando vi si parla di solitudine, di lacrime (“Le lacrime sanno d’infanzia e di Dio, dovremmo ricordarlo”), di invisibili presenze che, se le sapessimo ascoltare, lenirebbero il nostro senso di solitudine (“E quante volte non ho visto e non ho udito perché incapace di vedere e ascoltare veramente!” (Il cielo e l’abisso), di precoce vocazione religiosa, della scoperta del cinema e del teatro (Giorgio Gaber), della lunga esperienza di insegnante, del rapporto con gli animali (“A me piace immaginare un al di là con la loro presenza, una dimensione in cui possono essere finalmente liberi e felici, ancora accanto a noi ma leggeri e luminosi, in una nuova alleanza, senza più l’oppressione della sopravvivenza o l’incubo d’essere cacciati.” (Il mistero degli animali), la santità, il perdono, la morte.
Una scrittura, questa di Mauro Germani, libera e felice nel trattare temi complessi e delicati, con sensibilità e onestà, rigore intellettuale, senza artifizi retorici, che persuade, come di rado ormai accade, nella narrativa come nella poesia.
In queste prose troviamo spesso una dolcezza calma e antica, capace di aprire nel lettore le intime porte dell’attenzione e dell’ascolto profondo, riconducendolo, così, magicamente, a ritroso nella sua vita fino a riscoprirne l’intima essenza, e le autentiche priorità, la purezza dello sguardo, intorbiditosi negli anni.
Giovanni Nuscis
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Mauro GERMANI
TRA TEMPO E TEMPO
Readaction (Roma, 2022)